Eva Green: l’ultima femme fatale

Eva Green rappresenta ancora oggi qualcosa di più unico che raro nel panorama cinematografico moderno. Figlia sostanzialmente di più mondi, francese ma anche britannica, hollywoodiana ma anche autoriale nelle sue scelte di carriera, ora che torna come Milady nell’ennesima trasposizione del capolavoro di Dumas, continua a dispetto del tempo e dei cambiamenti a legarsi ad un’idea di donna che pareva ormai scomparsa. Proprio lì sta il segreto del suo fascino: ricordarci un mondo cinematografico perduto.

Una sensuale freak parigina che conquistò il mondo con Bertolucci

Eva Green rimane una creatura cinematografica molto difficile da decifrare, dal momento che la sua natura di figlia d’arte, almeno agli inizi la avvantaggiò, prima di confrontarsi con questi vent’anni di carriera, che l’hanno resa secondo molti qualcosa a metà tra un’attrice e una diva in senso tout court, forse anche passatista. The Dreamers di Bertolucci vent’anni fa poteva tramutarla in un’altra meteora dannata come Maria Schneider, diventata ad un tempo iconica e maledetta per la partecipazione al leggendario Ultimo Tango a Parigi. Invece, al fianco di Michael Pitt e Louis Garrel, Eva Green si impose sulla scena internazionale come un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Ad oggi, forse nessuna delle attrici che l’hanno superata in bravura, riconoscimenti, anche varietà di generi, può rivendicare la stessa capacità di colpire, di connettersi ad una sensualità che in certi momenti è parsa quasi insostenibile. In lei senza ombra di dubbio si condensa l’eredità di ciò che furono certe prime dive, capaci di diventare ossessione quando il cinema era agli albori e persino ancora muto. Vi è anche ciò che erano le muse dell’Europa quasi moderna. Ma è soprattutto l’ultima femme fatale, figura che grandi del passato, da Ava Gardner a Lauren Bacall, da Rita Hayworth a Joan Crawford, hanno reso iconica. Eva green è connessa per percorso e scelte a tante attrici che si sono legate al meglio della cinematografia più sperimentale e azzardata d’Europa degli anni ‘60 e soprattutto ‘70, quando l’eredità della Nouvelle Vogue si scontrava con la contestazione e la sperimentazione. La stessa immagine del corpo femminile diventava mezzo per significati radicalmente innovativi, spesso anche in modo radicale. Eva Green ad essere onesti continua ad abbracciare un qualcosa di decadente, spesso gotico, sempre e comunque. Per questo probabilmente non ha mai raggiunto la capacità di essere veramente la sola protagonista in qualche narrazione di prima grandezza, sia sul piccolo che grande schermo. Eppure, ha collaborato con registi del calibro del già citato Bertolucci, Jean Paul Salomé, Ridley Scott, Tim Burton, Roman Polanski e Martin Campbell. Ha sempre attraversato i suoi personaggi pur restando quasi sostanzialmente a sé stessa.

Un’attrice dal percorso atipico eppure affascinante

I Tre Moschettieri – Milady, la vede a 43 anni interpretare una delle donne più affascinanti, complicate e innovative che la letteratura ci abbia mai dato. Anche qui, come altrove, si pone come ponte tra la classicità e il rinnovamento, visto che la villain per eccellenza del ciclo di Dumas, continua ad essere un mix tra cinismo e voglia di riscatto, emancipazione e misandria. Se in The Dreamers era stata ipnotica con la sua capacità di rappresentare quel mix tra incoscienza e ribellione che dalle strade della Francia si allargò a tutto il ‘ 68, con Casinò Royale ha cambiato tutto, per sempre. Poteva essere una bond girl come tante, e invece la sua Vesper è stata grazie a lei, la più grande e innovativa di tutti i tempi. Lì mostrò di sapersi calare in un personaggio fragile, umanissimo eppure sensuale. In una cinematografia dove l’utilizzo del corpo e del nudo viene sempre più centellinato e criticato (spesso con ipocrisia) a molti continua a dare fastidio come Eva Green lo utilizzi come una sorta di ariete con cui sfondare ogni copione, ogni storia. Vale per la sua Milady come valeva in Penny Dreadful, Sin City – una donna per cui uccidere, 300 – l’alba di un impero. Qualcuno potrebbe obiettare che, bene o male, non varia neanche tanto il genere; eppure bisogna ricordarsi che in Dark Shadows è stata probabilmente la cosa migliore di quella strana commedia dark, con una strega di un fascino, una malinconia e simpatia uniche. Franklin, The Salvation, Miss Peregrine sono tra i suoi film più sottovalutati, in una carriera dove con Quello che non so di lei, Euphoria e Nocebo ha dovuto affrontare fiaschi non da nulla. Difficile dire se sia la più americana tra le attrici francesi o la più francese tra le attrici utilizzate ad Hollywood, visto che la casa dei sogni americana per eccellenza, sapeva di non poterla rendere l’ennesima bambolina. Ed è anche in questa unicità, che poi risplende in personaggi bene o male simili eppure sempre diversi, che Eva Green continua ad essere una pecora nera, un qualcosa di potente ma difficile da inquadrare. La sua capacità di porsi anche come un simbolo di una sessualità fluida, il fatto che piaccia in modo quasi irrefrenabile ad entrambi i sessi, contribuisce a renderla ancora più totem di tutto ciò che di potente ha la femminilità da sempre. La realtà è che in lei risplende anche una libertà, un’emancipazione, che sono state sovente sottovalutate e messe in secondo piano. Forse la realtà è che Eva Green non è una grandissima attrice come Fanny Ardant, Lea Seydoux o Isabelle Huppert, ma di sicuro è la più brava di tutte a sembrarlo.

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