Gandini: «W le Final Eight di basket delle sorprese»

Da poche ore è calato il sipario sull’edizione 2023 della Frecciarossa Final Eight di basket nella quale si sono sfidate le otto migliori squadre del campionato italiano. Sul podio una grande tra i grandi, la Germani Brescia capace di andare oltre ogni pronostico, vincendo la prima Coppa Italia della sua storia, liquidando ai quarti quelli che erano i Campioni in carica, l’Olimpia Milano e in finale l’altra favorita, la Virtus Bologna. Una favola a lieto fine di quelle che provano a convincerti del fatto che non sempre bastano dei budget faraonici per aggiudicarsi dei titoli già assegnati. Serve anche essere in grado di buttare il cuore oltre l’ostacolo.

La kermesse ha stabilito il nuovo record di spettatori di sempre nella storia della Coppa Italia, sia come dato complessivo per una edizione di una Final Eight ma anche per singola giornata di gare. Torino ha convinto su tutti i fronti, la città sembra essere votata ad ospitare i grandi eventi sportivi, e questa consapevolezza arriva dopo le Nitto ATP Finals, uno fra i più importanti tornei di tennis a livello internazionale, e il Grand Prix FIE di scherma, una delle competizioni europee più attese dagli atleti del fioretto maschile e femminile, entrambe ospitate dalla capitale sabauda.

Il dialogo tra la lega Basket, il Comune di Torino e la Regione Piemonte è già partito perché l’edizione 2023 sia solo l’inizio. Dopo il suono della sirena abbiamo raggiunto il presidente della LegaBasket Umberto Gandini.

Presidente, anche i grandi ogni tanto possono cedere il passo?

«Questa è la particolarità e la peculiarità delle Final Eight. Una partita secca a eliminazione diretta comporta che un pronostico sia quasi impossibile. La motivazione, l’esperienza, e anche una parte di fato, entrano in gioco, andando a bilanciare le forze in campo. È un evento pensato per avvicinare il grande pubblico ai palazzetti e direi che è andato davvero molto bene».

La scelta di portare la competizione in una città che non ha una squadra in serie A ha funzionato?

«Assolutamente sì, perché Torino ha pur sempre una grande tradizione in questo sport, il che ha portato ad una risposta naturale da parte del pubblico e degli addetti ai lavori».

Volessimo mettere Torino sotto una lente, perché non si riesce a ricostruire una squadra che possa competere ad alti livelli?

«In Piemonte abbiamo un fulgido esempio di imprenditorialità, e penso a Beniamino Gavio e a Tortona, dove si riscontrano investimenti importanti in termini di strutture. Torino ha una storicità, gli impianti ci sono, si porta dietro l’eredità delle Olimpiadi del 2006 con tutte le strutture annesse e la pallacanestro vive un percorso di graduale rilancio, che punta a tornare in serie A».

Siete in scia alla scelta di Sanremo di puntare sui social, sui canali usati dai giovani. I numeri sono dalla vostra. Qual è la nuova narrativa del basket italiano?

«Beh, noi siamo arrivati anche prima di Sanremo. Partiamo dai dati di fatto. Bisogna rivolgersi alle nuove generazioni, e per farlo serve usare il loro modo di comunicare. Abbiamo coinvolto 8 community e 48 influencer che cumulano una fan base totale di circa 30 milioni di follower e sono stati creati oltre 400 contenuti social, di cui oltre 250 video, producendo 6 milioni e 200 mila visualizzazioni».

Oltreoceano ci sono icone affascinanti, personaggi oltre che giocatori, che tanto stimolano i ragazzi italiani, basti pensare al recente record di LeBron James, che è diventato il miglior marcatore di tutti i tempi dell’NBA, o a stelle che non perdono mai di lustro come Michael Jordan che ha festeggiato i sessant’anni. Vogliamo che i nostri giovani capiscano che la pallacanestro fatta di quei miti, si gioca anche in Italia, e si gioca anche bene.

Andare a lavorare nel tessuto scolastico, crescendo nuove leve sin dalle scuole primarie. C’è qualche idea in tal senso?

«È fondamentale farlo. In questa edizione della Final Eight abbiamo lavorato molto con gli assessorati della Regione e del Comune, abbiamo coinvolto le scuole, le abbiamo omaggiate di un libro che racconta la pallacanestro e abbiamo portato seicento bambini alle partite».

Spesso a livello scolastico il basket è messo in antitesi al volley, soprattutto a livello femminile. Il cortocircuito secondo lei dove sta?

«Il cortocircuito sta nelle infrastrutture ma anche nelle attitudini. Il basket è uno sport di contatto che ha bisogno di spazi. Si “rischia” meno, dal punto di vista di un educatore scolastico, tirando una rete e giocando a pallavolo, evitando di andare in contro a micro-incidenti».

La crisi energetica ha in qualche modo toccato il mondo del basket italiano?

«Assolutamente sì. La maggior parte delle società di basket lavorano su impianti pubblici, alcune gestiscono i palazzetti, come nel caso di Trieste, Varese, Bologna, il che significa che il contraccolpo – basti pensare al riscaldamento di metrature così importanti – c’è stato, nonostante qualche aiuto sia comunque arrivato, con i vari decreti sull’energia che ci sono stati in autunno. Si è parlato tanto delle piscine, ma anche il riscaldamento dei palazzetti è un tema importante».

Tv e audience. Perché la gente non si ferma a guardare le partite di basket?

«Il basket è un prodotto estremamente televisivo. Tra l’altro in queste Final Eight la produzione è stata di un livello altissimo ed è stata fatta in un modo che in Italia ha pochi paragoni: 14 telecamere hanno permesso agli arbitri, grazie al nuovo sistema di Instant Replay, di avere a disposizione 7 inquadrature diverse. Il “prodotto”, parlando invece in termini di vendita televisiva è assolutamente appetibile. D’altro canto, c’è un po’ di disattenzione nella fruizione dello sport in generale da parte della televisione. Ormai si preferiscono forme in streaming o su piattaforme specifiche. Le Final Eight erano in chiaro, sul Canale 9, quindi accessibili a tutti, il che ha portato a buoni numeri e contatti crescenti. Adesso lo sforzo più grande sarà mantenere viva l’attenzione».

Intanto Netflix chiude le porte allo sport in diretta.

«Drive to Survive, serie televisiva documentaristica realizzata da Netflix, è stato un prodotto straordinario per promuovere soprattutto negli Stati Unti la Formula1. È importante tutta la parte documentaristica che Netflix sta producendo. Dall’altra parte hai un gigante come Amazon che con Prime continua ad investire sullo sport di altissimo livello, come nella Champions League. Apple Tv è diventato negli Stati Uniti il broadcast principale della Lega Calcio Statunitense. Ogni azienda ha una sua strategia più o meno orientata. Ma quello che traina, sono le storie dei grandi personaggi, dei miti che fanno sognare. Basti pensare a The Last Dance, la serie tv creata da ESPN e Netflix che racconta la carriera di Michael Jordan».

Perché il basket in Italia non riesce ad attirare sponsor? Cosa cambiare? Dove intervenire? Il problema sono due squadre che da sole hanno un budget dieci volte superiore a quello delle altre?

«Dissento da questo tipo di interpretazione. La polarizzazione di alti budget in due o tre società esiste storicamente in tantissimi campionati e non solo nel basket. Se guardiamo alla Grecia, la Turchia, la Spagna, la Germania, sostanzialmente sono due le squadre che si giocano il titolo con una serie di outsider che hanno budget inferiori ma altri tipi di motivazioni e che comunque riescono, grazie a scelte tecniche valide, a competere con questi giganti. Il campionato italiano, quest’anno è molto combattuto, il doppio impegno delle grandi corazzate in Europa, con tante partite infrasettimanali, comporta che poi in campionato qualche difficoltà la dimostrino. Non ci sono squadre imbattute da tantissimo e c’è una lotta acerrima per entrare nelle otto di testa, come per evitare la retrocessione. Gli sponsor sono divisi in due macro-famiglie: il mecenatismo puro e i Consorzi, ossia territori dove varie aziende uniscono le loro forze. Le ricerche che abbiamo fatto dimostrano che i ritorni in termini di sponsor sono molto importanti. Aggiungo, come nota a margine, che durante la pandemia una delle pochissime iniziative governative che ha effettivamente aiutato lo sport a 360° è stato il credito d’imposta per le sponsorizzazioni sportive, sulla falsa riga di quello che è avvenuto per l’editoria. Norma in vigore nel 2020 e nel 2021, parzialmente nel 2022 e 2023, che ha permesso alle società di andare avanti, agevolando gli investimenti fatti nelle società sportive sgravando del 50% il credito d’imposta degli sponsor. Parliamo di una norma che non vale solo per la pallacanestro ma anche per il calcio, la pallavolo e tanti altri sport, ecco perché continuiamo a sostenerla e a sollecitare il Governo tramite il Ministro dello Sport e il Ministero dell’Economia».

Un auspicio per il futuro.

«L’augurio è quello di recuperare l’attenzione e l’influenza che la pallacanestro ha avuto nella storia dello sport italiano, di ritornare a riempire i palazzetti, e idealmente di avere nuove strutture, anche se in tal senso so benissimo che i tempi sono lunghi. L’impiantistica sportiva è uno dei talloni d’Achille della nostra politica sportiva. Mi auguro che il nuovo governo e quelli che seguiranno ridiano allo Sport l’attenzione che merita».Leggi su panorama.it