venerdì, 31 Gennaio 2025
Garrone, otto anni per Io Capitano, mi sentivo in colpa
“Ci ho messo otto anni prima di fare
Io Capitano, nell’affrontare una tematica così. In realtà mi
sentivo in colpa nel mostrare questa storia dal mio punto di
vista di borghese occidentale bianco, avevo paura di poter
cadere nella speculazione del povero migrante, speculare su chi
affronta questo viaggio e muore. Ho sempre pensato fosse più
giusto lo facesse un regista africano, poi gli anni sono passati
e mi sono detto l’importante è fare il film, lo faremo insieme”.
Così Matteo Garrone in una intervista all’ANSA riflette su Io
Capitano, film che ha sbancato con ben sette premi i Nastri
d’Argento 2024: miglior film, regia, produzione (Archimede con
Rai Cinema e molti partner internazionali), fotografia di Paolo
Carnera, montaggio di Marco Spoletini, sonoro in presa diretta
di Maricetta Lombardo e il miglior casting director Francesco
Vedovati.
“Ringrazio tutti i giornalisti che mi hanno votato. I premi
aiutano a dare visibilità. Siamo tutti molto orgogliosi del
percorso che ha fatto questo film, di essere arrivato all’Oscar, ai Golden Globe (il film ha vinto poi sette David e a Venezia
il Leone d’argento alla regia, ndr) e di avere avuto anche un
grosso riscontro di pubblico nonostante sia uscito in lingua
originale, è infatti arrivato a 5 milioni di euro. L’obiettivo –
continua Garrone – era umanizzare i numeri che siamo abituati a
sentire in tv. Sapevamo bene che la politica non sarebbe
cambiata, ma potevamo sorprendere lo spettatore raccontandogli
una parte di viaggio che non conosceva”.
Quanto pesa la politica nella scelta dei suoi film? “In questo
caso c’è un tema così delicato, drammatico che implica
inevitabilmente un piano di lettura politico. Ma in genere
quello che mi spinge a fare un film è mettere al centro l’uomo
e i suoi conflitti. Io Capitano forse è il mio film più
popolare, ovvero il viaggio di un eroe che, a differenza di
altri miei lavori, è senza ombre. Un eroe che combatte per il
diritto a viaggiare, una cosa che dovrebbero poter fare tutti e
per il diritto alla vita contro il sistema di morte. E questo di
fronte a un’Europa che diventa sempre più una fortezza”.
Come l’ha cambiata il film? “La realtà che ho raccontato è sicuramente addolcita rispetto a
quella vera. Alcuni racconti che mi hanno fatto era quasi
impossibile mettere in scena, erano di una crudeltà
insostenibile e rischiavano così di sembrare inverosimili.
Quello che mi è rimasto dentro è sicuramente la grande capacità
umana e il coraggio di queste persone che combattono per dei
diritti che dovrebbero essere scontati e sempre con una grande
carica vitale. È stato un viaggio che mi ha segnato più di altri
anche perché sono entrato in una cultura che non era la mia, in
una lingua che non era la mia”.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA