Gli studios ignorano le richieste sui protocolli sull’aborto dei creatori

Gli studios ignorano le richieste sui protocolli sull’aborto dei creatori

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Il 28 luglio, più di 411 creatrici hanno collaborato a una lettera indirizzata ai massimi dirigenti degli studios e delle piattaforme più importanti di Hollywood, di rettificare il piano di sicurezza sull’aborto entro 10 giorni lavorativi.

Tra i firmatari troviamo nomi di spicco come: Shonda Rhimes, Natasha Lyonne, Taika Waititi, Pamela Adlon; Issa Rae, Mindy Kaling, Angela Kang; Courtney A. Kemp, Elizabeth Meriwether, Robin Thede, Marta Kauffman; Tanya Saracho e Amy Schumer.

La richiesta è derivata dall’annullamento della sentenza Roe v Wade, da parte della Corte Suprema a maggioranza conservatrice, il 24 giugno.

Entro il 1° agosto, 594 filmmaker uomini hanno inviato una lettera a sostegno delle richieste. Da Aaron Sorkin, Donald Glover, David E. Kelley, Ryan Murphy; J.J. Abrams, Greg Berlanti e Jordan Peele, si sono alleati con i loro:

“Colleghi showrunner donne, trans e non-binari per chiedere una risposta ai nostri datori di lavoro riguardo alla crisi imminente”.

Quattro le richieste poste agli studios:

  1. Politiche e procedure pubblicate per fornire un sussidio di viaggio per l’aborto ai dipendenti delle vostre produzioni, comprese informazioni specifiche su come verrà salvaguardata la privacy medica dei dipendenti.
  2. Protocolli che delineano l’ambito dell’assistenza medica per i dipendenti delle vostre produzioni, comprese le gravidanze ectopiche e altre complicazioni della gravidanza che richiedono un trattamento medico tramite aborto mentre si lavora per X.
  3. Politica relativa alla tutela legale penale e civile, compresa l’indennità e la difesa da responsabilità, per qualsiasi membro di una produzione che agevoli i protocolli di X o fornisca informazioni e linee guida sulla politica di X a un dipendente che desidera abortire.
  4. Impegno a interrompere immediatamente tutte le donazioni politiche ai candidati anti-aborto e ai comitati di azione politica.

La risposta

A poche ore dalla scadenza prevista per la notte scorsa Disney, Netflix, AppleTV+, NBCUniversal, Amazon, Warner Bros, Discovery e AMC Networks hanno risposto con una lettera.

Sostanzialmente ignorato i punti principali di quanto richiesto, non sono disposti a interrompere le donazioni politiche ai candidati anti-aborto, né a rendere pubblici i protocolli interni a sostegno dei dipendenti.

La lettera

Grazie per la vostra lettera del 28 luglio 2022. Condividiamo le vostre preoccupazioni in merito alla salute, alla sicurezza e al benessere dei nostri devoti dipendenti e delle persone che sostengono le nostre produzioni. Riteniamo che essi debbano avere accesso a un’assistenza sanitaria sicura ed efficace e che la loro privacy debba essere protetta.

Ciascuno dei nostri piani sanitari aziendali, concepiti individualmente, offre una copertura sanitaria completa ai nostri rispettivi dipendenti. Abbiamo aggiornato autonomamente i nostri dipendenti – che vivono e lavorano in tutto il Paese – man mano che i piani e le politiche cambiavano e si espandevano per fornire assistenza riproduttiva e altri tipi di supporto ora necessari negli Stati che hanno limitato o vietato l’accesso all’aborto.

La maggior parte dei lavoratori delle produzioni cinematografiche e televisive è coperta da piani sanitari di settore che sono amministrati congiuntamente da rappresentanti sindacali e dirigenti nell’ambito della contrattazione collettiva. In collaborazione con il personale dei piani sanitari di settore e con i responsabili sindacali di tali piani, i nostri responsabili gestionali hanno lavorato rapidamente per rivedere le prestazioni sanitarie esistenti e molti di questi piani sanitari di settore hanno già adottato emendamenti che prevedono il rimborso delle spese di viaggio associate all’ottenimento di servizi abortivi per i partecipanti e i loro familiari a carico che risiedono o lavorano in Stati in cui tali servizi non possono essere ottenuti legalmente. Ci risulta che gli altri piani sanitari di settore prenderanno in considerazione modifiche simili questo mese. I partecipanti ai vari piani di settore hanno ricevuto direttamente dai piani le comunicazioni relative a queste modifiche.

Siamo lieti che i nostri partner industriali abbiano affrontato rapidamente questa importante questione e ci impegniamo a continuare a valutare i modi migliori per garantire i nostri dipendenti e i lavoratori che sostengono le nostre produzioni.

Vogliamo assicurarvi che siamo concentrati individualmente sul sostegno alla salute, alla sicurezza, al benessere e alla privacy dei nostri rispettivi dipendenti e di coloro che supportano le nostre produzioni, mentre continuiamo a monitorare questa situazione in evoluzione. Non vediamo l’ora di lavorare con voi per continuare a creare grandi contenuti per il nostro pubblico in tutto il mondo.

Firmato,

AMC Networks, Amazon Studios, Apple TV+, NBCUniversal, Netflix, Paramount, The Walt Disney Company, Warner Bros. Discovery

Un insulto

Alcuni dei firmatari della lettera originale hanno dichiarato a Deadline che stanno discutendo altre azioni da intraprendere per raccogliere il sostegno degli studios e degli streamer.

Un firmatario ha dichiarato:

“È un insulto, è evidente. È indicativo di quello che è veramente importante per loro, che non siamo noi, la nostra sicurezza o i nostri diritti”.

Ha detto senza mezzi termini un’altra firmataria di primo piano della lettera:

“Non dovrei essere sorpresa, lo sono, ma so che non dovrei esserlo”.

La “risposta formale”, come l’ha definita uno degli sceneggiatori maschi, che le loro colleghe hanno ricevuto oggi sembra aver galvanizzato molti di loro su ulteriori strategie da intraprendere.
Un creatore di contenuti ha detto:

“Hollywood deve inviare un messaggio di sostegno incondizionato alle donne americane. Gli Stati che vietano l’aborto devono sapere che il sostegno non è solo morale, ma anche finanziario, se necessario. E se l’industria ne ha bisogno, deve abbandonare le detrazioni fiscali e la produzione in quegli Stati”.

Fonti Deadline, Indiewire

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