Goodbye Julia, al cinema: dentro al Sudan di odio e perdono – Video

Estate 2005: l’elicottero su cui viaggiava l’ex leader ribelle sudanese John Garang precipita, uccidendolo, accendendo le rivolte in Sudan. In questo periodo di forte tensione tra Nord e Sud del Paese africano, che porteranno quindi alla secessione del Sud nel 2011, si inserisce Goodbye Julia, scritto e diretto da Mohamed Kordofani, primo film sudanese mai presentato al Festival di Cannes.

Vincitore del Prix de la Liberté a Cannes 2023, Goodbye Julia arriva al cinema in Italia il 24 ottobre, distribuito da Satine Film.

Sul grande schermo la storia di un Paese di cui poco si conosce, con a nudo le sue criticità salienti ma anche sentimenti universali come il pregiudizio, l’odio, l’espiazione e il perdono.

A Khartoum, la capitale del Sudan, vive Mona (interpretata da Eiman Yousif), distinta signora di religione musulmana che vive con il marito Akram (Nazar Gomoa). Per assecondare le richieste di quest’ultimo, ha dovuto rinunciare alla sua grande passione: cantare in una jazz band.
A Khartoum, in una sorta di baraccopoli abitata da sudanesi del Sud, cristiani-animisti, vive anche Julia, giovane moglie e madre del piccolo Daniel. La interpreta Siran Riak, alla sua prima prova d’attrice, modella passata da una situazione di indigenza in Africa alle passerelle e quindi al set.

A causa di un incidente e di un’irrazionale paura mossa da un razzismo radicato, accadrà il peggio. Mona e Julia, due donne diverse ma unite da un segreto che martella, finiranno per costruire un rapporto di improbabile e inconsapevole complicità.

Qui un video in esclusiva estratto dal film Goodbye Julia:

«Il razzismo praticato per molti decenni dalla maggior parte degli arabi del Nord, dal governo e dal popolo, è stato uno dei motivi principali per cui quelli del Sud hanno scelto la secessione», ha raccontato il regista Mohamed Kordofani. «Ciò è diventato oltremodo evidente quando i risultati hanno rivelato che uno schiacciante 99% della gente del Sud voleva separarsi. Non è possibile che un intero popolo scelga la secessione per qualche altro motivo».

E ancora: «Mi sono reso conto, allora, che in qualche modo anch’io ero responsabile di quella decisione: per tutta la mia vita, a Khartoum non avevo mai conosciuto nessuno del Sud tranne alcune collaboratrici domestiche, come se avessimo praticato l’apartheid sociale. Scrivere questo film è stato per me parte di uno sforzo continuo per sbarazzarmi di quel razzismo ereditato, motivato da un senso di colpa, da un desiderio di riconciliazione e da un appello a farlo tutti, anche se ora potrebbe sembrare tardi».

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