domenica, 2 Febbraio 2025
Gran Bretagna in crisi: un regno senza gloria
La cassiera al supermercato Morrisons di Wimbledon ha capelli bianchi e sguardo desolatamente gentile. Lei, come tante sue colleghe di questa rivendita nel quartiere del tennis di Londra, è stata tra le prime a veder arrivare la crisi. «Se vuoi trovare tutto quello che ti serve, meglio venire al mattino, già nel primo pomeriggio i prodotti cominciano a scarseggiare. E nessuno li rimpiazza, a ritmo continuo, come un tempo. Non vogliono rimanenze che vadano sprecate…». Non sono più tempi opulenti nel Regno Unito, il crollo recente della sterlina dovuto alla speculazione dei mercati obbligazionari è solo l’ultima ondata della tempesta perfetta che ha investito il Paese che fu di Churchill e vai tu a negarlo. La classe media britannica, che è quella che paga le tasse e manda avanti tutto, ne è così consapevole, che abbassa le spalle e tira dritto. Alla vigilia del Capodanno appena trascorso, nella Londra illuminata a giorno dall’amministrazione del sindaco laburista Sadiq Khan, il ristorante all’ultimo piano del grande magazzino John Lewis a Chelsea, alle 13 non riusciva a servire più il pranzo per mancanza di scorte. Prima della pandemia avrebbe lavorato ininterrottamente fino all’ora di chiusura. I clienti nemmeno protestano, al posto del fish and chips, si accontentano del cappuccino e un pezzo di torta. «Cosa vuole, è così dappertutto» commenta un signore che frequenta il posto con la moglie da almeno quarant’anni, «c’è chi sta peggio».
Ed è vero: la percentuale di poveri nel Regno Unito non è mai stata così alta, come fanno notare sempre più spesso commentatori politici da sempre fuori dagli schemi come Alistair Campbell e Rory Stewart (il primo fu consulente di Tony Blair, il secondo perse nella corsa alla leader contro Boris Johnson e poi uscì dal partito) protagonisti del seguitissimo podcast The Rest is Politics. «Il Regno Unito di oggi» raccontano «deve affrontare una situazione in cui sono centinaia di migliaia le persone che vivono di benefit, qualcosa che non si vede negli altri Paesi europei». Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Joseph Rowntree, il numero degli indigenti, una volta scomparsi tutti i supporti straordinari, è tornato ai livelli pre-Covid: 14,4 milioni di persone (il 22 per cento della popolazione), tra cui quattro milioni di bambini e due di pensionati. In dieci anni, il numero dei senzatetto è incrementata del 120 per cento. A Manchester, la scorsa settimana l’amministrazione comunale ha chiuso la tendopoli degli homeless eretta per protesta di fronte al municipio e Londra continua ad avere la percentuale di residenti senza dimora più alta del Regno. Come dice l’inno? «Dio salvi il Re, lo faccia vittorioso, felice e glorioso. A lungo regni su di noi»…
Non sembra esserci nulla di vittorioso e glorioso nel Regno di re Carlo oggi. E il sovrano il suo compito già lo fa, sopravvivendo al cancro, insieme alla nuora Catherine. Ma sono in molti a non aver ricevuto le loro stesse cure da parte di un servizio sanitario alle corde che non mostra segni di ripresa. Il collegio delle infermiere ha diffuso un rapporto di 400 pagine che denuncia la catastrofica situazione degli ospedali britannici, dove i pazienti anziani muoiono nei corridoi ospedalieri e nei bagni dove vengono lasciati in attesa anche per dieci ore e gli operatori infermieristici neppure se ne accorgono tempestivamente perché sono troppo pochi. Per non parlare dei servizi sociali che se metti in fila tutte le loro mancanze, l’Italia sembra un Paese nordico. Un esempio per tutti, il caso del killer delle bambine di Southport, quell’Axel Rudakubana che nel luglio scorso uccise tre bimbe a un corso di danza nella sua ex scuola e ferì altre dieci persone. Si è scoperto che era stato segnalato alle autorità preposte da quando aveva 13 anni, gli era stato diagnosticata una sindrome autistica e nessuno se n’era occupato. Adesso che ha commesso una strage il governo ha aperto un’inchiesta, ma come lui in Gran Bretagna ce ne sono a migliaia. Nel discorso tenuto da Starmer sul caso, il premier ha enfatizzato il fallimento del sistema di prevenzione alla radicalizzazione da parte dei gruppi terroristici online, lasciando per ultima la motivazione più profonda. «Questa violenza è anche segno di un Paese ripiegato su sé stesso» ha detto, promettendo un cambiamento epocale.
A cui però pochi credono perché i laburisti di oggi assomigliano fin troppo ai conservatori che li hanno preceduti, una volta arrivati al governo. Si sono fatti beccare ad accettare regalie inopportune, i giornali nazionali rivelano amicizie scomode che interferiscono su progetti legislativi, subiscono le stesse pressioni dalle lobby di potere. Non si salvano neppure i politici dell’opposizione: la leader conservatrice Kemi Badenoch pare Elly Schlein, tutta presa a sciorinare la sua ferrea linea di principio ed incapace di far breccia nel cuore della gente comune. I suoi interventi sono innocui e il partito stesso tende a pensare che il periodo di autocritica interna sia l’alibi per nascondere la carenza di idee e proposte. «Se il governo laburista è in difficoltà, il partito conservatore ha poco da compiacersi» commenta Tim Bale, vice direttore dell’istituto di ricerca Uk in a Changing Europe, «dato che i suoi rappresentanti e chiunque lo guidi continuano ad operare entro le cerchia ristrette di media e gabinetti strategici le cui preoccupazioni e interessi sono sempre troppo distanti da quelli della media dei britannici e ancor più lontani da quelli dei loro finanziatori. Accadde lo stesso, nel 1997, quando i Conservatori vennero surclassati da Blair».
Se questo è il quadro generale non stupisce il risultato di un sondaggio effettuato per il quotidiano The Guardian che rivela come i giovani siano attratti dall’idea di un leader forte e snobbino l’importanza delle elezioni democratiche. Nigel Farage, astro di Reform Uk, appoggiato da Elon Musk dichiara che potrebbe diventare primo ministro con il prossimo voto. Smemorato però anche lui delle sue scelte fallimentari, come quella Brexit che ha trascinato il Regno dov’è ora. All’inizio dell’anno un altro quotidiano, l’Independent, ha sbattuto in prima pagina tutti i numeri della catastrofe e non è un bel ritratto per un Paese dove nel biennio 2021-23 le esportazioni verso l’Europa sono calate del 27 per cento e le importazioni del 32 e la burocrazia blocca per giorni i camion ai confini di Dover e Calais. Sempre lo stesso sondaggio racconta che i due terzi degli intervistati ritiene che i migliori anni del Regno siano ormai alle loro spalle. Mai come ora si spera che, ancora una volta, i sondaggi si sbaglino. Al governo attuale rimane l’ardua impresa di concretizzare le riforme «epocali» come quella sul sistema sociale e trovare un equilibrio tra l’Europa che i suoi predecessori hanno ripudiato e l’America di Trump che lo tiene a distanza. God Save the premier, verrebbe da dire.