lunedì, 21 Aprile 2025
I 30 anni di Le Iene, il biglietto da visita di Quentin Tarantino
Per parlare di quello che ancora oggi è ritenuto forse l’esordio cinematografico più folgorante di sempre, del film che ha lanciato definitivamente Quentin Tarantino, il cineasta simbolo degli ultimi 30 anni, occorre sicuramente rendere omaggio a un’opera di sensazionale genuinità e capace di diventare icona stessa di un certo modo di concepire il cinema.
Perché la verità è che se da un certo punto di vista essere tarantiniani è passato di moda, con buona pace di Guy Ritchie, è altrettanto vero che il modo in cui il regista di Knoxville ha saputo riportare al centro dell’attenzione i personaggi, i dialoghi, si palesò in tutta la sua meravigliosa originalità in questo film, che più che cult era nato per diventare un classico di cui oggi nessuno nega raffinatezza e difficile collocazione.
Un esordio da cinefilo vero e mai domo
Quentin Tarantino con Le Iene, bene o male mise in chiaro fin da subito come per lui il cinema fosse un cocktail, un puzzle, una tavolozza dei colori da utilizzare in piena libertà, infischiandosene di preconcetti, strutture, regole e teorie del passato. Oppure no?
In questo paradosso risiede se vogliamo gran parte del suo fascino, dal momento che per Tarantino il cinema rimane sempre al centro delle sue opere, sia dal punto di vista semantico, che da quello visivo, semiotico, nel modo in cui costruisce la narrazione, la spinge fino all’estremo, per poi capovolgere tutto.
Il cinema francese della Nouvelle Vague, la New Hollywood, gli Spaghetti Western e il poliziottesco all’italiana, il noir, il film di genere, il crime, il thriller, l’action (non solo occidentale) e naturalmente il cinema indipendente camminano avvinghiati.
Andando più nel dettaglio, Le Iene per stessa missione del suo autore risulta ancora oggi essere un chiaro omaggio a cineasti che per lui, cinefilo di insaziabile curiosità, erano più che importanti, funzionali soprattutto al tipo di racconto che aveva in mente, a quella scintilla che l’aveva fatto scattare.
E allora ecco che si palesano i collegamenti con Stanley Kubrick, Scorsese, Lynch, Sergio Corbucci, Lam, Kurosawa, Joseph L. Lewis, Aldrich, Mamet, per ottenere infine una messa in scena che dal dinamico sovente si fa statica, teatrale, per poi esplodere con scene di una violenza che Tarantino rivendicò come il centro ideale della sua cinematografia.
30 anni di Le Iene bene o male significa quindi anche creare un bilancio finale su quello che questo regista è stato in grado di diventare, una sorta di variante impazzita all’interno di una Hollywood che ha conquistato pur senza mai farne parte, rappresentandone un’eccezione che di anno in anno, vista la sterilità dilagante, acquista sempre più valore, diventa sempre di più un’àncora di salvezza.
Ve lo dico io di cosa parla “Like a Virgin”
Harvey Keitel, Tim Roth, Chris Penn, Steve Buscemi, Lawrence Tierney, Michael Madsen, lo stesso Tarantino ed Edward Bunker formano una delle bande di rapinatori più strane e imprevedibili che il cinema ci avesse mai offerto. Le Iene è in tutto e per tutto un racconto basato sull’ incertezza, ma forse sarebbe meglio dire sull’ambiguità, dal momento che nessuno dei personaggi è completamente positivo o negativo, nessuno di loro appare immune dalla violenza, quanto piuttosto un suo suddito, un seguace senza rimorso.
Fin dal dialogo iniziale in quella tavola calda, inerente la possibile interpretazione su una delle hit di Madonna, Tarantino ci fa comprendere che per lui mostrare e spiegare hanno lo stesso valore, che i dialoghi sono un mezzo per arrivare al fine ultimo di caratterizzare i suoi personaggi.
Non la verità, quella anche diegetica sovente appare sfuggente, anche in virtù di un iter narrativo jazzato, irregolare, fatto di flashback e flashforward, ma perfetto per struttura e scelta, per farci comprendere con chi abbiamo a che fare, che però allo stesso tempo ci confonde con gusto.
L’assenza di una visione manichea del mondo, si palesa nell’alternarsi di sadismo e generosità, solidarietà è freddo cinismo, che alla fin fine esplodono in una contrapposizione degna di un romanzo di Agatha Christie, in cui lo spettatore si trova chiaramente privilegiato dal sapere una parte di verità, ma dall’ignorare quale potrà essere l’esito finale.
Intanto, quatto quatto, Tarantino semina prove, indizi, omaggi e camei, tasselli della sua mitologia futura, quella fatta di una perfetta connessione di riferimenti tra tutte le sue opere e ciò a cui erano ispirate, ponendo quindi le basi per una metanarrazione unica nel suo genere.
Egli dimostra fin da subito di conoscere perfettamente meccanismi mentali dello spettatore, di come egli voglia l’essenziale e mai il superfluo, prediliga il non visto che gli lascia libertà all’eccesso di un mostrare che strangola l’incertezza che adoriamo. Ecco perché ancora oggi è il miglior narratore che vi sia.
Un narratore che gioca con il tempo e la verità
Le Iene sarebbero sicuramente piaciute molto anche a Sergio Leone, se non altro per la dimensione di amicizia virile, ma anche l’ambiguità di questo stesso rapporto, messo continuamente alla prova, da uomini spietati, violenti eppure capaci anche di grande autoironia.
Non vi è retorica, quella di Ford e soci sulla “grandezza dell’America”. Qui l’America è vicoli pieni di bossoli, una polizia razzista e fascista, minoranze ai margini del giro grosso, la sessualità agognata ma mai presente, passanti macellati come niente fosse, orecchie tagliate.
Non furono in pochi tra i critici all’epoca, che sottolinearono come l’impatto emotivo verso il pubblico fosse stato semplicemente sensazionale, per come Tarantino aveva dimostrato di saper alternare black humor, con una drammaticità scevra da ogni leggerezza, omaggiando i topoi cinematografici americani più classici, e contemporaneamente distruggendoli, togliendone ogni sacralità per rendere il tutto più simile al gusto orientale ed europeo. Le Iene parla di uomini, delle loro azioni, non del mito che li contiene.
Tarantino senza che nessuno se ne accorga, ci rende schiavi anche del tempo, quello che scorre in direzioni contrapposte all’interno di questo mondo impazzito, insegue il poliziotto infiltrato che potrebbe morire da un momento all’altro, i suoi ignari complici che aspettano Joe, l’agente legato alla sedia.
Le lancette dell’orologio impazziscono, ma proprio per questo la trama ancora più intrigante, mentre assistiamo ad una sorta di piccolo esperimento sociale molto distante dal canonico.
Le Iene è guidato da una sorta di Dio onnipotente che ci invita a godere della paura, dell’incertezza, che dominano i protagonisti, quel gruppo di rapinatori capaci di aiutarsi l’un l’altro fino alla morte come di riempirsi di piombo da un momento all’altro.
Nel farlo, oltre a porre il primo mattone sulla sua Chiesa di un cinema atipico e sorprendente, Tarantino si pose soprattutto come interprete principale di ciò che sarebbe stata la cultura pop dagli anni ’90 in poi, con un deserto da riempire con i riferimenti del passato.
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