I mandanti della bomba contro Dugin (e Putin) non sono a Kiev

Darya Dugina, giornalista e politologa 30enne, figlia di Aleksandr Gel’evič Dugin (filosofo, ideologo ultranazionalista e conservatore), è morta la scorsa notte alle porte di Mosca nell’esplosione dell’auto che stava guidando. Secondo fonti russe la Toyota Land Cruiser Prado (di proprietà del padre), sulla quale viaggiava Darya Dugina, è saltata in aria intorno alle 22.00 (ora di Mosca) mentre percorreva un’autostrada alle porte della capitale russa lungo l’autostrada Mozhayskoye, vicino al villaggio di Bolshie Vyazemy. Secondo la polizia all’interno dell’auto era nascosta la bomba e «la persona al volante è morta sul colpo». Padre e figlia stavano rientrando a Mosca dopo aver preso parte a un festival a Zakharovo. Il leader della repubblica separatista del Donetsk, Denis Pushilin, nel confermare la notizia della morte di Darya Dugina all’agenzia Novosti ha accusato «i terroristi legati al regime ucraino». Andrei Krasnov, leader del movimento Russky Gorizont e amico della famiglia Dugin, alla Tass ha dichirato: «Era completamente in fiamme, ha perso il controllo perché stava guidando ad alta velocità ed è volata sul lato opposto della strada e per quanto ho capito, l’obiettivo era il padre, o forse entrambi».

Secondo i suoi biografi Aleksandr Dugin è il principale ideologo dell’eurasiatismo contemporaneo (neo-eurasiatismo), che avrebbe coniugato il tradizionalismo integrale, principalmente del francese René Guénon e dell’italiano Julius Evola, con il pensiero di Martin Heidegger, contribuendo a un nuovo «tradizionalismo russo». La sua ideologia viene giudicata simile a quella fascista avendo come obiettivo una Russia radicalmente nuova, ultranazionalistica, ma non etnocentrica. Il suo libro La quarta teoria politica pubblicato nel 2009 contiene la sintesi del suo pensiero. Aleksandr Dugin negli anni è stato molto abile nel rapporto con i media soprattutto occidentali (ed in particolare con quelli italiani) che lo hanno fatto diventare una star al punto di descriverlo come una sorta di guida spirituale dell’invasione russa dell’Ucraina e persino «il cervello di Putin». Nonostante si tratti di un intellettuale molto conosciuto in Russia non solo per la vicinanza al regime di Vladimir Putin e per le sue posizioni a favore di una religione ortodossa molto tradizionalista, contraria ai diritti e alle libertà individuali alle quali opporre l’appartenenza ad una sorta di comunità identitaria, definirlo «il cervello di Putin» è decisamente eccessivo e fuorviante.

Chi era Darya Dugina

Giornalista e analista geopolitica, cresciuta sulle orme del padre si era laureata in filosofia a Mosca nel 2015. A sua volta sostenitrice del Movimento eurasiatico guidato dal padre, era diventata una star del canale tv appartenente all’oligarca ultraconservatore Konstantin Malofeev. Il 4 giugno scorso venne inserita nella lista delle persone sanzionate dal governo inglese «per avere espresso appoggio o promosso politiche favorevoli all’aggressione russa dell’Ucraina». Venne inserita al numero 244 dell’elenco delle 1.331 persone fisiche sanzionate, quale «autore di alto profilo della disinformazione circa l’Ucraina e riguardo all’invasione russa dell’Ucraina su varie piattaforme online nonché responsabile per il supporto e la promozione di politiche o iniziative di destabilizzazione dell’Ucraina per comprometterne o minacciarne «l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza».

Chi è stato? Tutti e nessuno

La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato: «Le forze dell’ordine russe stanno indagando: se la pista ucraina venisse confermata dopo la verifica delle autorità competenti, allora bisognerebbe parlare della politica di terrorismo di Stato perseguita dal regime di Kiev». Gli ucraini hanno smentito qualsiasi coinvolgimento come ha detto alla Tv nazionale Mykhailo Podolyak, principale consigliere del presidente ucraino Zelensky: «L’Ucraina non ha nulla a che fare con l’omicidio della figlia di Dugin. Non siamo uno Stato criminale, a differenza della Russia, e sicuramente non uno Stato terrorista». A poche ore dai fatti senza sapere che tipo di esplosivo sia stato utilizzato e tutta una serie di dettagli tecnici, è prematuro esprimere opinioni; tuttavia quanto accaduto potrebbe essere stato realizzato almeno da tre entità: i servizi segreti o una squadra speciale di Kiev che potrebbe aver voluto vendicarsi dei tentativi (almeno sei) di uccidere Volodymyr Zelensky da parte dei servizi segreti russi; una delle due brigate di fondamentalisti islamici ceceni che combattono in Ucraina contro i russi e quindi contro il leader ceceno Ramzan Akhmatovič Kadyrov stretto alleato di Putin; infine non va sertata l’ipotesi che quanto accaduto possa essere stato fatto da cittadini russi che hanno voluto colpire una figura ritenuta vicina a Vladimir Putin. Di sicuro chi ha colpito conosceva molto bene i luoghi, gli spostamenti e le auto a disposizione dei Dugin al punto di riuscire a collocare una bomba all’interno della Land Cruiser Prado di

Dugin. Un fatto questo che potrebbe far pensare alla pista del terrorismo interno. Come detto è presto per trarre collusioni, ma il messaggio che arriva al Cremlino è molto chiaro: «Possiamo colpire anche a Mosca e uccidere chiunque, anche chi è vicino a voi». Ma c’è un altro aspetto di quanto accaduto l’altra notte che deve fare preoccupare a sei mesi dall’inizio del conflitto voluto da Vladimir Putin: c’è il rischio concreto che la morte di Darya Dugina non sia che solo l’inizio di una strategia terroristica. Quindi di una serie di attentati da commettere sul suolo russo proprio come avvenne ai tempi delle due guerre cecene volute sempre da Mosca. Se così fosse allora le stazioni dei treni, gli aeroporti, le metropolitane, gli autobus, i teatri, le scuole e ogni luogo affollato in tutta la Russia potrebbe diventare l’obbiettivo dei terroristi.

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