lunedì, 25 Novembre 2024
I nuovi super latitanti d’Italia
Con l’arresto del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, il numero dei latitanti italiani di massima pericolosità inseriti nell’elenco del Ministero dell’Interno è sceso a 4. Di loro ormai da anni si è persa traccia ma continuano le ricerche e si sospetta che almeno un paio siano morti già da tempo.
In cima alla lista del Ministero c’è il boss di Cosa Nostra Giovanni Motisi classe 1959 conosciuto come ‘U Pacchiuni. Capo del clan Motisi, palermitano, è considerato il latitante più pericoloso e ricercato d’Italia dopo Matteo Messina Denaro. L’uomo, un tempo reggente del mandamento Pagliarelli, salì al potere prendendo il posto dello zio Matteo Motisi. Considerato il killer di fiducia di Totò Riina, Motisi è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del commissario Giuseppe Montana, ucciso a colpi di pistola il 28 luglio 1985 a Santa Flavia, alle porte di Palermo. Giovanni Motisi risulta a tutti gli effetti latitante dal 1998. Per gli inquirenti si sarebbe avvicinato all’ala moderata di Cosa nostra guidata da Bernardo Provenzano. Dal 1999 è ricercato anche a livello internazionale nel 2016 la sua figura venne inserita nella lista dei criminali più ricercati d’Europa e potrebbe aver preso il posto di Matteo Messina Denaro.
A sparire nel nulla invece dal 1997 è Attilio Cubeddu nato ad Arzana nel 1947. L’uomo dopo un permesso, non fece ritorno alla Casa Circondariale di Nuoro, dove era detenuto per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime. Cubeddu è uno dei membri storici dell’Anonima sequestri, coinvolto secondo le forze dell’ordine italiane nel sequestro di Ludovica Rangoni Machiavelli e Patrizia Bauer, due ragazze rapite a Bologna nel 1983. Cubeddu fu arrestato a Riccione nell’aprile del 1984 e condannato a 30 anni di carcere. Uscito nel gennaio del 1997 per un permesso premio Cubeddu avrebbe dovuto fare rientro in carcere il 7 febbraio di quell’anno, ma si diede alla latitanza e da quel momento non si sono più avute sue notizie. Dal 1998 è ricercato in campo internazionale, anche se all’epoca si fece strada l’ipotesi che fosse morto, forse ucciso da Giovanni Farina, un suo complice, per non dividere il denaro del riscatto per il sequestro Soffiantini.
L’unico esponente della camorra ad essere presente nella lista dei latitanti italiani più ricercati è Renato Cinquegranella nato a Napoli nel 1949. Secondo gli inquirenti l’uomo avrebbe avuto un ruolo nell’omicidio di Giacomo Frattini, detto “Bambulella”. Il suo corpo fu trovato avvolto in un lenzuolo nel bagagliaio di un’auto, mentre la testa, le mani e il cuore furono trovati chiusi in due sacchetti di plastica all’interno dell’auto. Il 21 gennaio 1982 Cinquegranella sarebbe stato coinvolto anche nel delitto del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista Pasquale Paola, il 15 luglio 1982, per mano delle Brigate Rosse. Renato Cinquegranella è ricercato dal 2002 per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi e estorsione ma solo nel 2018 si è deciso di diramare le ricerche in campo internazionale.
Infine è stato recentemente inserito il presunto capo-società della ‘ndrina calabrese di Sant’Onofrio e Stefanaconi Pasquale Bonavota, nato a Vibo Valentia il 10 gennaio 1974. La sua latitanza è iniziata il 28 novembre 2018, dopo che una importante operazione avviata alla fine del 2017 contro la ‘ndrina dei Bonavota aveva permesso di ricostruire con precisione l’organigramma della cosca che aveva esponenti anche in Piemonte e Roma. Le loro attività comprendono l’estorsione, l’usura, il traffico di droga e il riciclaggio. La famiglia Bonavota ha controllato l’amministrazione comunale di Sant’Onofrio fino al 2009, quando è stato sciolto e commissariato per infiltrazione mafiosa, grazie a un’operazione di polizia che ha portato all’arresto del capobastone, cioè il mafioso a capo della famiglia, Domenico Bonavota. Pasquale Bonavota è ricercato per associazione di tipo mafioso e omicidio aggravato in concorso.
«Questi latitanti a parte Giovanni Motisi, che oggi per me ha preso il posto di Messina Denaro e ricopre un ruolo fondamentale in seno alla commissione di Cosa Nostra, potrebbero essere dei personaggi mitologici» commenta il magistrato Alfonso Sabella, sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo
Cosa intende?
«Ovviamente è un mio pensiero perché non me ne sono occupato personalmente ma per farle capire cosa intendo le racconto una mia esperienza. Nel 1999 c’èra un certo Nino Parisi anche lui latitante morto ormai da tempo ed i mafiosi usavano il suo nome per addossarli i loro reati. Ecco qualche latitante di quelli che lei mi nomina potrebbe essere morto mentre ripeto Motisi oggi è il superboss. Pensi nel mio ufficio avevo il suo albero genealogico appeso perché tutti i membri della sua famiglia si chiamano o Giovanni o Matteo ed era difficile capire tutte le volte chi fossero».
Perché la cattura di un boss a volte richiede molti anni?
«Tutti i latitanti che sono stati presi dopo tanti anni erano soggetti scarsamente operativi sul territorio per questo è stato difficile trovarli, perché non lasciavano traccia del loro passaggio. Boss spariti per decenni dai radar come Messina Denaro che fino al 1996 non si è poi cercato così tanto. Messina denaro deve la sua notorietà a Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella».
Sono stati usati strumenti adeguati per la ricerca dei latitanti?
«Non sempre. La colpa della latitanza di alcuni soggetti prima delle stragi è da imputare allo Stato che non utilizzava gli strumenti e le norme adeguate per assicurare alla giustizia questi criminali. Dopo le stragi del 1993 tutto è cambiato e se Falcone e Borsellino avessero avuto gli strumenti di oggi molte cose sarebbero andate diversamente. Io sono rimasto a Palermo fino al 1999 e le assicuro che Provenzano ha avuto il controllo totale di Cosa Nostra mentre Messina Denaro ha fatto un passo indietro occupandosi solo del territorio di Trapani. Io ho arrestato Bagarella seguendo il suo autista, ma era un boss attivo e che aveva una sua strategia militare poi abbandonata da Provenzano che era il capo mentre Messina non era più nulla.Resta il fatto che il suo arresto è stata un’operazione straordinaria».