martedì, 26 Novembre 2024
I presidenti di Italia e Francia portano avanti l’accordo di amicizia «ogm»
I capi di Stato e i governi si muovono talvolta in maniera scoordinata, segnando una divergenza tra le opinioni della politica e quelle dell’alta burocrazia. È questo il caso di Francia e Italia, paesi uniti da un trattato specifico, quello del Quirinale, che è rimasto appannaggio delle cancellerie proprio perché difficile da giustificare alle opinioni pubbliche.
Il trattato è un memorandum of understanding, per ora molto vago e semivuoto, per integrare ulteriormente apparati, istruzioni, economia e finanza tra Francia e Italia. L’accordo nasce in un periodo infelice, dopo la tremenda crisi dei debiti sovrani, in un contesto di pressione politica sulle forze centriste che hanno governato nell’ultimo decennio, in una crescita vorticosa di nazionalismo e forze anti-sistema. In questo contesto, dunque, dar corso ad un accordo tra due paesi alleati, ma anche in concorrenza tra loro, è molto complesso. Lo è anche perché la nazione più grande, la Francia, considera l’Italia un junior partner e perché l’Italia stessa è divisa tra chi vorrebbe serenamente accettare questo ruolo subalterno, magari ricavandone dei benefici per alcuni settori della classe dirigente italiana, e chi lo reputa una scalata ostile di Parigi sulle aziende, la finanza e il controllo delle infrastrutture del Belpaese. La partita si è fatta ancor più difficile nell’ultimo anno per gli eventi di politica interna dei due paesi.
In Francia, Macron ha vinto con un margine più ridotto le presidenziali, le quali al primo turno hanno mostrato l’avanzata di estrema destra ed estrema sinistra, forze che sommate oramai occupano più della metà dei consensi elettorali. Il Presidente ha un partito molto leggero, quasi inesistente, e un governo debole, che non ha mai ricevuto la fiducia dall’Assemblea Nazionale e non ha la maggioranza assoluta. Inoltre, la Francia ha un debito pubblico in esplosione, oramai al 115% sul Pil; da anni non produce avanzi primari a livello di bilancio; il sistema industriale soffre di arretratezza e mancanza di competitività; i problemi sociali legati all’immigrazione e alle classi lavoratrici sono molto maggiori dei nostri.
In Italia dopo la parentesi di pacificazione nazionale del governo Draghi, invece, le elezioni sono state vinte da un centrodestra ben più nazionalista rispetto a quello del passato. La debolezza macroniana e il cambio di governo a Roma hanno fatto saltare il tappo di tensioni già nell’aria da tempo. La stessa questione dell’immigrazione, che ha generato una reazione sovradimensionata del governo francese, va letta nella più ampia prospettiva della relazione tra i due paesi. Fino a che il Pd era al governo, il gruppo di potere del centrosinistra garantiva alla Francia collaborazione e una certa volontà di obbedienza sulle partite europee ed economico-finanziarie. Oggi i democratici sono fuori dall’esecutivo, sostituiti dalla destra, e Parigi ha perso i riferimenti costruiti in questi anni con legioni d’onore, nomine nei consigli di amministrazione di aziende francesi e altri strumenti di soft power. Da qui la tensione forte tra i due governi, complice anche una rinnovata azione dei tedeschi per prendere le misure alla nuova destra italiana.
Si paventa, infatti, l’ipotesi di un futuro trattato anche con la Germania, mal visto naturalmente dai francesi. Al tempo stesso, per ora, il governo Meloni gode di una discreta ma evidente protezione americana per le posizioni su Cina e Russia, dunque è meno attaccabile sul fronte della politica estera. Uno stato di cose che si riflette sull’economia. Se i governi a trazione Pd erano molto aperti agli investimenti francesi in Italia, anche in aziende e istituti finanziari strategici, il governo Meloni ha una posizione più protezionista. I piani di espansione francese su ITA, Tim, UniCredit e Generali rischiano concretamente di arenarsi con conseguente nervosismo dell’Eliseo. Insomma, i due Capi di Stato, Macron e Mattarella, possono cercare di stemperare le tensioni e favorire la cooperazione istituzionale in alcuni settori, come quello diplomatico e militare. Tuttavia, nel complesso, fino a che i due governi restano sulle posizioni di oggi il trattato del Quirinale è destinato a restare un foglio bianco. E se l’alternativa è lo scontro aperto, forse è meglio così.