martedì, 26 Novembre 2024
I soliti in ginocchio solo davanti al «politically correct»
Ci sarebbe piaciuto che qualcuno dei sacerdoti del politicamente corretto si fosse inginocchiato di fronte all’uccisione di un ragazzo italiano a New York. E invece, guardacaso, la morte di Davide Giri per mano di un killer afroamericano, è finita nel dimenticatoio. I campioni della genuflessione hanno avuto il colpo della strega, la sciatica, un improvviso reuma che gli impedisce di muovere la rotula e spiccicare parola. Le Boldrini e compagnia indignata, le comitive di influencer campioni nell’aggrottamento di sopracciglia, le anime belle che si inginocchiavano per George Floyd? Quelli insomma che se non facevi l’inchino ti bollavano come presunto razzista: che fine hanno fatto?
Viene quasi da pensare che lo scandalo esiste solo se l’aggressore è bianco. In caso contrario, se la vittima è italiana e magari assiduo frequentatore della parrocchia, i paladini delle libertà si danno alla macchia. Fingono di non sapere. La vittima non è di colore? E allora non è una notizia. Tanto vale non parlarne. Il fattaccio scompare dai social e al massimo finisce nelle cronache locali dei giornali liberal.
Come ha notato Federico Rampini, il mutismo della stampa progressista di fronte all’assassinio del giovane italiano è una pagina vergognosa. Significa che sotto la scorza politicamente corretta, i soloni della giustizia razziale sono annebbiati dall’ideologia: per cui, una violenza è degna di essere denunciata a seconda del colore della pelle dei protagonisti. Altro che civiltà: siamo al grado zero della barbarie, perpetuata da un’avanguardia di sedicenti intellettuali, giornalisti irregimentati sempre “infallibili”, che nel tempo libero si divertono a dare patenti democratiche, a farsi belli della loro superiorità morale, a dichiarare “guerre umanitarie” ogni fine settimana, mentre in realtà si tratta solo di bieche manovre politiche portate avanti con altri mezzi.
Dovremmo seriamente riflettere su queste operazioni di marketing mascherate da battaglie civili. La nostra soglia di attenzione è manovrata da questa gente qua: sono loro a dettare l’agenda, a calibrare la visibilità degli eventi, a guidare il dibattito. E tutto nel nome di una loro superiorità morale inventata di sana pianta. Ci hanno fatto una testa tanta perfino agli Europei di calcio: chi non si inginocchiava in campo era un vigliacco, un mezzo fascista, un avanzo di galera. Oggi scopriamo – semmai ce ne fosse stato bisogno – che chi si inginocchia lo fa soprattutto per questioni di potere, di carriera, di visibilità. Questioni che con i diritti umani hanno ben poco a che vedere. Lo abbiamo notato, da ultimo, in occasione della ritirata americana da Kabul. Mentre i fondamentalisti riconquistavano interi pezzi di territorio, non c’è stata una sola pasionaria del MeeToo che abbia osato proferire parola. Forse perché a guidare quella ritirata c’era un’amministrazione democratica, e dunque amica dei salotti che contano? O magari perché nessuno, in quel frangente, poteva più incolpare Donald Trump? Risultato: anche il destino delle donne afghane è annegato nel mutismo più vigliacco.
E noi siamo ancora qua, ad ascoltare le lagne di queste prefiche a corrente alternata. Che snobbano un ragazzo perbene morto ammazzato lontano da casa, mentre si stracciano le vesti a reti unificate per una pacca sul sedere fuori dallo stadio. Quando scenderemo da Marte e torneremo sulla terra, fateci un fischio.