lunedì, 25 Novembre 2024
Il modo migliore di aiutare la disabilità è considerarla normalità
Diciamoci la verità: chi ha una disabilità (e io sono tra questi) è stato visto per anni come una persona da assistere, alla quale garantire “d’ufficio” dei diritti.
È evidente che avere pari diritti è uno dei principi fondanti delle democrazie, tra le quali, grazie a Dio, quella italiana.
Questa ricorrenza e la risonanza che negli ultimi tempi sta avendo su scala internazionale deve aiutarci a comprendere che l’inclusione non è semplicemente un diritto per alcuni e un dovere per gli altri, quelli che stanno bene. Avere più persone che riescano a realizzarsi è un valore aggiunto per tutti, lo insegna lo sport. Giochereste volentieri la finale di un mondiale con la maglia della nazionale sapendo di avere uno o più compagni di squadra che non sono in forma? Personalmente vorrei giocarmi una sfida così importante con la consapevolezza che atleti, staff e tifosi siano al meglio..
Adesso usciamo dal campo ed entriamo nella nostra quotidianità, che è densa di partite decisive, tutte in contemporanea. C’è la sostenibilità, il cambiamento climatico, l’invecchiamento della popolazione, la digitalizzazione e chi più ne ha più ne metta. Vale la pena affrontare questi temi determinanti per il futuro dell’umanità avendo a disposizione il maggior numero di risorse umane possibili.
Le statistiche ci dicono che le persone con disabilità sono il 15% della popolazione mondiale. Farne a meno o considerarle solamente un’incombenza da risolvere sarebbe come scegliere a priori di rinunciare a 4 calciatori in una rosa di 25 o a 2 cestisti in un rooster di 15.
Numeri notevoli che metterebbero in crisi qualsiasi allenatore.
Ecco perché l’inclusione è un tema che riguarda tutti da vicino ed è importante affrontarlo insieme, a partire dalla scuola, contesto fertile per allenare le generazioni future all’inclusione, continuando nelle società sportive in cui offrire a tutti lo sport come prezioso alleato educativo e formativo, per arrivare al mondo del lavoro nel quale la D and I (diversity and inclusion) è sempre più attuale.
La disabilità può aiutare a empatizzare con la difficoltà propria e degli altri, soprattutto può ispirare nella gestione dei problemi e, più in generale, nello sviluppo dell’intelligenza emotiva. Allo stesso tempo questo processo favorisce una maggior consapevolezza nelle persone fragili che, formandosi con pari dignità, possono mettere a disposizione della collettività competenze importanti.
Il tema della diversity and inclusion viene considerato sempre di più anche dalle grandi aziende. È un cambiamento culturale importante che sostituisce finalmente la competenza all’assistenza. In poche parole ti assumo perché puoi darmi un valore aggiunto, non perché sono obbligato. Ognuno ha le proprie disabilità, la differenza è che alcuni ce l’hanno scritto sulla carta d’identità e per questo tutti abbiamo un ruolo decisivo, nessuno escluso!
di Daniele Cassioli, presidente onorario Piramis onlus