Il ritorno di Alien

«Astronavi, ambienti e persino i mostri non sono creati al computer, ma realizzati in dimensioni naturali e fatti a mano, come 40 anni fa». Il regista Fede Álvarez racconta a Panorama aneddoti e segreti di Alien: Romulus, nuovo capitolo della saga horror fantascientifica. Episodio che mantiene le aspettative: non vi farà dormire. Parola di chi lo ha visto, in anteprima.


Estate 1979, al cinema arriva Alien, diretto da Ridley Scott, un film di cui parlano tutti. Per i primi che lo vanno a vedere lo shock è grande abituati a film con ritmi e scene meno crude. Alien, infatti, è spaventoso. Forse troppo. Ma questo fattore fu la chiave del suo successo planetario. Come non ricordare la raccapricciante scena in cui l’alieno, dopo essersi incollato al volto di uno degli astronauti in missione per indagare una richiesta di soccorso arrivata da un pianetino satellite perso nello spazio, esce letteralmente dallo stomaco dello sventurato tra schizzi di sangue. Quella sequenza e lo «xenomorfo», l’enorme alieno disegnato da H.R. Giger, oltre a togliere qualche settimana di sonno, sono diventati l’emblema dell’horror fantascientifico per eccellenza, insieme al marine Ellen Ripley, interpretato dalla sexy mascolina Sigourney Weaver e alla frase simbolo del film: «Nello spazio nessuno può sentirti urlare».

Ora dopo 45 anni e tre sequel (il migliore Aliens – Scontro finale di James Cameron), più due prequel spuri voluti da Scott (Prometheus e Alien: Covenant), ecco che quella frase ritorna ad incuriosire gli spettatori della Generazione Z e Alpha, ovvero quelli che al massimo possono avere conosciuto le gesta di Ripley dai loro genitori. Alien: Romulus, in uscita il 14 agosto, riparte da un’intuizione del suo regista, l’uruguaiano Fede Álvarez (La casa e Man in the Dark): «Tra gli extra di Aliens – Scontro finale c’era una scena eliminata in cui un gruppo di ragazzi correva tra i lavoratori della colonia spaziale dove si svolge la storia», ricorda il regista.

«E così ho pensato a come sarebbe stato per dei teenager crescere in un luogo come quello e a cosa sarebbe accaduto loro quando sarebbero diventati adulti». Nel film, un gruppo di giovani coloni spaziali vive su un pianeta minerario che non vede mai la luce del sole. I ragazzi decidono, quindi, di viaggiare fino al Romulus, uno dei due moduli di una stazione spaziale in orbita e ormai dismessa, nella speranza di trovarvi la tecnologia per abbandonare una volta e per sempre la colonia in cui sono cresciuti. Una volta approdati sul velivolo però i coloni scoprono che è infestato da una delle specie più terrificanti e sanguinarie dell’universo. Dopo aver abdicato all’idea di ritrovare Ripley in un quinto capitolo scritto da Walter Hill e mai arrivato sullo schermo, è chiaro che il nuovo episodio aveva bisogno di volti nuovi, possibilmente coetanei di quegli spettatori ancora vergini che Scott e Álvarez vorrebbero infettare col morbo di Alien.

Così il regista, anche sceneggiatore del film con l’amico Rodo Sayagues, ha iniziato la selezione del cast per incarnare personaggi totalmente inediti: la protagonista è ancora una donna, Rain Carradine, una 25enne che dopo la morte dei genitori vuole reinventare la propria esistenza da qualche altra parte lontano dalla colonia mineraria. «Quando scrivo una sceneggiatura immagino i possibili attori che interpreteranno i personaggi», dice Álvarez «e per Rain ho sempre avuto in mente Cailee Spaeny, l’attrice che ha ricevuto una nomination ai Golden Globe per aver interpretato la moglie di Elvis Presley in Priscilla».

Sarà lei, con il mitragliatore in mano, a guidare l’offensiva contro l’alieno che vuole fare una carneficina dei loro giovani corpi: Tyler, l’ex fidanzato di Rain, anche lui operaio nelle miniere della colonia (interpretato da Archie Renaux), sua sorella Kay (Isabela Merced). Poi c’è Bjorn (Spike Fearn), un altro giovane in fuga da quel durissimo lavoro e Navarro (Aileen Wu), giovane donna esperta di tecnologia che pilota la Corbelan, l’astronave da lavoro molto simile alla Nostromo di Alien, visto che è stata creata dalla stessa corporation onnipresente nella saga, la Weyland-Yutani. Ovviamente, come in ogni film della saga che si rispetti, non poteva mancare un androide, e così dopo Ash di Alien (lo interpretava Ian Holm), Bishop (Lance Henriksen) di Aliens, e David (Michael Fassbender) di Prometheus, ecco stavolta Andy (David Jonsson), un altro essere sintetico biomeccanico che è il fratello disponibile e protettivo di Rain.

Nonostante nel 1979 i trucchi digitali non esistessero, Alien era riuscito a mettere in scena effetti speciali capaci di risultare credibili e terrorizzare il pubblico. Per questo, pur potendo ricreare alieni e set interamente al computer, Álvarez (che prima di esordire al cinema si era fatto notare col notevole cortometraggio Ataque de pánico! che si può vedere su YouTube), ha deciso di percorrere una strada meno battuta: «Volevo riportare la saga alle sue origini, non solo per quanto riguarda la storia ma anche in termini di stile visivo», dice il regista. Perciò col benestare di Scott ha deciso di impiegare effetti speciali che non venivano più utilizzati da decenni, ascoltando anche i consigli a riguardo di James Cameron, e di ricostruire negli Origo Studios di Budapest gli enormi set delle varie location, a partire dalla colonia mineraria, per procedere con l’astronave Corbelan e con la stazione spaziale Romulus. «Non è stato semplice ricreare quel mondo», afferma Álvarez. «È stato come catapultarsi indietro negli anni Ottanta e da quella prospettiva immaginare il futuro dimenticando di vivere già 40 anni dopo. Per questo ho fatto moltissime ricerche sui film di Scott e Cameron, studiando il colore, la forma delle immagini, gli oggetti di scena, il make up e molto altro ancora».

Naturalmente il cuore dell’esperienza ruota tutta attorno al raccapriccio provocato dall’immagine dello «xenomorfo», l’alieno che dà il titolo al film e delle sue varie incarnazioni: anche in questo caso Álvarez ha scelto una vita tradizionale, affidandosi a 80 tra artisti, creatori di stampi, scultori, pittori ed esperti di robotica, oltre che maghi degli effetti visivi. Per permettere agli attori di interagire sul set con la creatura sono stati creati quattro xenomorfi, due a grandezza naturale per riprese statiche o dinamiche, oltre a due teste da alieno da attaccare alla tuta di uno stuntman, per sequenze da completare con la computer grafica. Per i parassiti aracnoidi chiamati facehugger che si attaccano al volto e «fecondano» gli esseri umani, la Weta Workshop ha creato 12 creature animatroniche telecomandate, capaci persino di aprire le porte. Il cronista di Panorama ha visto Alien: Romulus in anteprima. E anche questa volta, come 40 anni fa, poi non è riuscito a prendere sonno.

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