venerdì, 22 Novembre 2024
Inflazione e profitti, chi ci guadagna e chi ci perde davvero
Inflazione e profitti, due facce della stessa medaglia. Solitamente si dice che è pericoloso aumentare i salari, perché si alimenta l’inflazione e la sua discesa può risultare essere più difficile. Aspetto, quest’ultimo, sottolineato anche della Bce, che alcuni giorni fa ha spiegato come bisogna monitorare con attenzione la spirale salari prezzi. Contemporaneamente Isabel Schnabel, esponente della Banca centrale europea, ha però evidenziato come bisogna mantenere l’attenzione alta anche sull’inflazione dei profitti aziendali. In pratica la Bce dice che l’inflazione nell’Ue scende così lentamente perché da una parte è foraggiata dai salari, che se aumentano più velocemente di quanto si possa pensare e la crescita della produttività non si riprende, c’è il rischio che questo possa trasformarsi in una spirale salari-prezzi. Dall’altro lato l’inflazione, soprattutto nel 2022, è stata guidata dalla crescita dei profitti aziendali fuori controllo.
Trend, quest’ultimo che è stato evidenziato nel report: “I margini delle imprese europee sono di nuovo in calo?” pubblicato da Allianz Trade, dove emerge che i margini di profitto delle imprese nell’Eurozona sono migliorati durante le recenti crisi. Con il 40,8% del valore aggiunto lordo a fine 2022, i margini delle imprese non finanziarie risultano essere +0,6 punti percentuale sopra la media di lungo periodo, con Italia e Spagna meglio posizionate rispetto a Germania e Francia. Tuttavia, vi sono differenze significative tra i vari settori. Un esempio è dato dalle costruzioni. In Germania le imprese di questo mondo hanno sfruttato la tendenza generale al rialzo dei prezzi per aumentare significativamente i propri profitti. L’edilizia ha registrato l’aumento più consistente dei margini, anche rispetto alle altre grandi economie europee. Come è stato possibile? Da una parte grazie al costo dei materiali che è sceso, dopo che le interruzioni della catena di approvvigionamento sono state risolte, e dall’altra parte grazie ai salari che non sono cresciuti. La combinazione di questi due fattori ha dunque fatto aumentare i profitti delle aziende. Analogamente, il settore delle costruzioni italiano è stato in grado di aumentare i prezzi, data la ripresa della domanda negli ultimi due anni. Il credito d’imposta legato alla misura del superbonus 110%, attuata per migliorare l’efficienza ambientale del parco immobiliare, ha infatti spinto la domanda, ma allo stesso tempo ha gonfiato i prezzi nelle costruzioni.
Ovviamente questa dinamica, che vede i prezzi in rialzo e i profitti delle aziende che salgono, non riguarda tutti i settori. Il mondo dei servizi, per esempio, ha subito forti pressioni al ribasso. Mentre i servizi energetici e di trasporto sono settori oligopolistici, con un forte potere di determinazione dei prezzi di mercato, il settore dei servizi, compresi l’ospitalità, il B2B e l’Ict, ha faticato, con margini ben al di sotto delle medie pre pandemiche. In questi settori si è infatti verificata l’accelerazione dei salari. In diversi paesi dell’Ue, come in Francia, molti lavoratori hanno il salario ancorato all’inflazione, che essendo salita senza tregua nel corso del 2022 ha visto un’impennata anche nel conseguente stipendio dei lavoratori di questo settore. Le conseguenze sono state che il mondo dei servizi nel 2022 ha dovuto affrontare un duplice shock: da una parte la spinta dei costi, dovuta all’aumento dei prezzi dell’energia, e dall’altra l’aumento della spesa salariale.
La crescita dei profitti delle imprese ha però inciso notevolmente sull’inflazione core e sulla sua non rapida discesa. Nel 2023 stiamo infatti ancora combattendo con politiche monetarie da falco, messe in campo dalla Bce, che ogni mese mette sul tavolo un nuovo rialzo dei tassi di interesse. Si stima che l’inflazione, nell’area euro, arriverà vicino al target del 2% solo nel 2025. Dinamica che presuppone una politica da falco, da parte della Banca centrale europea, anche per buona parte del 2024. Il problema è sotto gli occhi della Bce e di Bankitalia che più volte hanno sottolineato che nonostante la diminuzione dei prezzi all’ingrosso le aziende continuano a vendere i loro beni e servizi a prezzi elevati, ottenendo un costante nuovo profitto.
Se la dinamica non si dovesse normalizzare verso il basso la Bce continuerà a tenere alti i tassi di interesse, per combattere l’inflazione, ottenendo un effetto perverso per i consumatori: un mercato con tassi e prezzi alti. Colpire così pesantemente e in modo prolungato le famiglie sta però iniziando a creare delle distorsioni. Se nel 2022 molte di queste hanno retto il colpo dell’inflazione in salita, attingendo ai loro risparmi, nel 2023 la situazione non è delle migliori. Le riserve economiche dei consumatori non sono infinite. Nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria, la Banca d’Italia ha evidenziato, infatti, una flessione del reddito disponibile reale. Si parla di un calo della ricchezza finanziaria del 5,6% nel secondo semestre e un -5,3% della propensione al risparmio nell’ultimo trimestre.
Non tutto è però perduto. Secondo il report di Allianz Trade, dovremmo aver superato il picco dell’inflazione dei profitti aziendali in un contesto di diminuzione del potere di determinazione dei prezzi. Gli ultimi indicatori sul potere di determinazione dei prezzi suggeriscono che una certa decelerazione sta prendendo piede, e persino le forze deflazionistiche iniziano a diventare visibili (metalli, prodotti chimici, tessili). Pertanto, la potenziale perdita di valore aggiunto in termini di salari totali – dato che l’attività sta rallentando – darebbe ancora un impulso limitato all’aumento dei prezzi.
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