Inverno, missili, controffensiva. Come proseguirà la guerra in Ucraina

Per mesi si è scritto che l’inverno, oltre al terreno ucraino, avrebbe congelato anche il fronte della guerra, soprattutto dopo che Kiev, con la sua controffensiva autunnale, ha riconquistato più di 6.000 chilometri quadrati di territorio russo in meno di due settimane. Dopo Kharkiv sono stati fatti progressi a nord di Kherson all’inizio di ottobre e quindi a metà novembre con la riconquista del resto della provincia a ovest del Dnipro. Carri armati e altri veicoli corazzati hanno svolto un ruolo importante in entrambe le offensive, ed ora Mosca ha scatenato un attacco da lunga distanza per mettere in ginocchio la popolazione della capitale e non soltanto, distruggendo le infrastrutture energetiche e lasciando la cittadinanza al buio, al freddo, senza acqua e con l’incombente pericolo di essere colpiti dai missili. Per quanto ci sforziamo di fare analisi, rimangono aperte troppe incognite e nulla di certo si sa, al momento, sulla possibilità che gli Usa possano fornire alle forze ucraine droni più avanzati o altre armi che possano cambiare, comunque mai radicalmente, gli assetti e gli equilibri in campo. Perché si può avere a supremazia aerea, quella navale o spaziale, ma poi senza fanteria i territori non si riconquistano.

È una realtà e non propaganda che l’offensiva russa sia tutt’altro che ferma. Ed è un’altra realtà da non dimenticare che l’invasione iniziale della Russia sia stata eseguita male, seppure avesse guadagnato oltre 110.000 chilometri quadrati di terreno in meno di un mese, con la controffensiva di Kiev che aveva ripreso oltre 50.000 chilometri quadrati a marzo e all’inizio di aprile. Le linee del fronte si sono poi stabilizzate nonostante la forte pressione offensiva russa nella tarda primavera e in estate, prima delle controffensive autunnali dell’Ucraina. Ma mentre la controffensiva di Kharkiv di settembre ha cacciato i russi da gran parte del teatro orientale in pochi giorni, quella di Kherson ha fatto solo progressi limitati per oltre un mese, nonostante le pesanti perdite ucraine. Al momento è difficile aspettarsi una trasformazione imminente dello schema di guerra, anche perché nessuna delle parti pare stia veramente cercando una soluzione per sostenere il cessate il fuoco. Ma già domani potrebbe tutto essere differente, con tanto di smentite e arrampicate sugli sechi degli analisti militari che affollano i talk-show. Ogni scusa è buona, dal grano per l’Africa agli errori di lancio dei missili prodotti nell’ex Urss ma in mano a Kiev. Diventano evidenti gli effetti sull’opinione pubblica di fatti che hanno zero importanza per il conflitto, ma che oscurano per diffusione mediatica notizie che invece porterebbero a considerazioni importanti. Un esempio su tutti è quanto accaduto in Polonia, con la morte di due persone a causa di un errore, quando lo stesso giorno erano caduti oltre 90 missili e 18.000 colpi di artiglieria sull’Ucraina, facendo centinaia di vittime in una delle notti più tragiche che la Nazione abbia vissuto dal 24 febbraio.

La verità è che la guerra non sta affatto andando bene né per i russi, che vedono lontano il miraggio della vittoria, né per gli ucraini, perché se a Mosca se la passano male per le sanzioni, comunque stanno al caldo e, a parte una piccola fetta di popolazione benestante che risiede nella capitale come a San Pietroburgo, i cittadini sono da sempre abituati a “pane a cipolle”. Mentre a Kiev non c’è riscaldamento, elettricità né acqua. Purtroppo, l’eccessiva attenzione a fatti come quelli accaduti in Polonia (ma da febbraio gli eventi simili sono decine), fa nascere false convinzioni fino a creare un’immagine alternativa ma falsa della situazione, alimentando la disinformazione e puntando, specialmente nell’Europa occidentale, a screditare la causa ucraina e a nascondere brutte azioni russe, ma quasi mai il contrario che invece accade eccome e in tutte le guerre. Fateci caso, mentre Mosca ha un’organizzazione preposta alla comunicazione ufficiale, Kiev si affida a ogni telefonino acceso laddove si vogliano rendere noti fatti che convengono in quel momento e in quel luogo. E poi ai social network. Qualcuno ricorderà le madri ucraine che si rivolsero a quelle russe invitandole ad andare a prendere i loro figli per vedere che cosa stava accadendo realmente nel Paese. Tornando alle operazioni militari, che sembrano essere quasi ferme, ora stanno aumentando nuovamente i bombardamenti, al punto che le terribili sofferenze del popolo ucraino provocano sentimenti di pietà al punto da invitare il presidente Zelensky a considerare la cessione di qualche territorio pur di fermare i massacri. Ma se soltanto poche ore dopo sono gli ucraini a colpire basi o impianti in territori russi come la Crimea, allora l’occidente sostiene che dovrebbero limitare gli attacchi per non scatenare ulteriori e peggiori rappresaglie da parte dei generali di Putin. Ci sono poi i “tormentoni” sfruttati a dovere come i bombardamenti sulla centrale di Zaporizhya e tutte le operazioni – anche politiche come l’invio della commissione IAEA – che mirano a farla tornare sotto il controllo ucraino, scordandosi di dire che nessun ufficiale russo bombarderebbe i suoi stessi uomini dentro la centrale. Nella realtà la battaglia è per il controllo delle infrastrutture che ne garantiscono la sicurezza, già più volte sono passate da una bandiera all’altra. Ma si cerca sempre di comunicare in modo distorto facendo leva costantemente sul pericolo nucleare. Nel breve periodo dobbiamo quindi chiederci se la strategia russa di fiaccare la popolazione ucraina e innescare nell’occidente sentimenti di pietà che spingano Kiev ad accettare compromessi funzionerà oppure no (e non sembra affatto), mentre guardando al futuro resta da capire per quanto tempo Europa e Usa potranno sostenere forniture militari per chi ha diritto di difendersi. Infine, la politica che dichiara la Russia nazione “sponsor del terrorismo” vuole in modo maldestro e anche pericoloso di isolare e minare il regime di Putin dall’interno come dall’esterno, ma rischia di compromettere per sempre i rapporti con una nazione che valeva sete miliardi di export soltanto per noi.

Leggi su panorama.it