Italia, una democrazia basata sul non voto

Che i cinque stelle fossero inaffidabili non lo scopriamo certo oggi. Che Conte non avesse lo spessore per guidare un partito, anche questo lo sapevano anche i sassi. Forse solo il Pd faceva finta di ignorarlo. In queste ore sui social sta girando un manifesto del Partito Democratico di qualche mese fa che riletto oggi appare surreale: “Il Pd – recita – ha una sola parola ed esprime un nome per il nuovo governo del cambiamento: Giuseppe Conte”. Eravamo alla fine del Conte Bis, e i dem spingevano per il Conte ter. Fino a qualche giorno fa, l’Avvocato era l’eroe progressista con cui inaugurare la grande alleanza. Oggi il Pd tace imbarazzato, consapevole di non aver capito ciò che tutti sapevano fin dal principio. E cioè che con le truppe stellate non si può lavorare. Lo sapeva anche Renzi, che aprì ai cinque stelle la strada del governo Draghi, e oggi si stupisce per la loro condotta. Ed è molto strano che non lo sapesse il presidente Mattarella, quando invitava i grillini al Quirinale per inserirli nella squadra di unità nazionale. Calcoli sbagliati? Forse no. Forse accettare l’instabilità grillina era il prezzo da pagare per evitare le urne. Ieri come oggi, l’interesse superiore era ed è uno soltanto: evitare il voto a tutti i costi.

Il motivo? Sempre uno diverso. Prima per la pandemia, poi per la guerra in Ucraina, poi per il Pnrr, oggi per l’inflazione, occorre scansare le elezioni. C’è sempre un’emergenza terribile, una causa di forza maggiore che si impone, il senso di responsabilità dinanzi all’abisso cui fare appello. Certo, le sfide da affrontare sul piano economico e industriale sono tante, e fanno paura. Certo, sarebbe opportuno che un governo forte restasse in sella, e conducesse in porto i dossier più scottanti. Ma se un accordo non si trovasse, perché ci ostiniamo ad avere così paura delle elezioni?

E’ una sindrome tutta italiana. Anche all’estero i governi cadono (anche se meno spesso), ma il voto viene considerato uno sbocco fisiologico. Solo da noi il ricorso alle urne viene descritto come un salto nel buio senza ritorno. Una bocciatura nazionale. Un fallimento generale. Ma perché? Ovviamente tutti ci auguriamo che si trovi in queste ore una soluzione solida a livello istituzionale. Ma questo continuo descrivere il ricorso agli elettori come un incubo da cui scappare, francamente, non ha più senso. Continuare a sventolare spauracchi, è una strategia furbetta che non funziona più. Ci hanno detto che il voto è un dramma, una tragedia, un inferno. Vorrebbe dire consegnare il paese alle destre, o ai populismi, o ai Di Battista, o alla “ducia” Meloni. Per anni ci hanno detto che votare era un azzardo: avrebbe potuto vincere Berlusconi, o Salvini, con i suoi “pieni poteri”. Peccato che in questi minuti sono proprio Berlusconi e Salvini a tenere in piedi il sistema (finché dura) con una linea di responsabilità apprezzata anche da chi li detesta.

A voler ben vedere, la paura delle elezioni coincide in realtà con la paura di perderle. Se mancano i programmi, i progetti, gli uomini, è evidente che per molti la sconfitta elettorale sarebbe dietro l’angolo. Ma questo non c’entra niente con l’interesse della nazione: al massimo, c’entra con l’interesse di qualche leader di passaggio a sopravvivere politicamente.

Ma se così non fosse possibile, allora sì, non resta che il voto. E sarebbe ora che il ricorso alle elezioni venisse spogliato di questa confezione di terrore che qualcuno gli ha cucito addosso.

Che i Cinque Stelle fossero inaffidabili non lo scopriamo oggi. Che Giuseppe Conte non avesse la tempra necessaria per guidare il Movimento senza lasciarsene travolgere, anche questo lo si sapeva. Gli unici a non saperlo erano quelli del Pd, che fino a qualche giorno fa consideravano l’Avvocato un alleato imprescindibile: in queste ore sui social si rilancia un vecchio manifesto del partito democratico (vecchio ma neanche troppo)

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