mercoledì, 15 Gennaio 2025
Khelif: Pigozzi, ‘E’ intersex, non può essere esclusa’
(dell’inviato Piercarlo Presutti) Di Imane Khelif parlano in tutto il
mondo, spesso senza cognizione di causa. Di doping non parla più
nessuno, e sarebbe bello pensare che l’altra spina medico-etica
sul corpo dello sport sia stata estratta: ma il sospetto che non
sia così rimane più forte della speranza. Delle due questioni
l’ANSA ha parlato con l’italiano più titolato ad affrontarle:
Fabio Pigozzi, presidente dei medici sportivi mondiali e numero
uno di Nado Italia, l’Agenzia indipendente antidoping.
A proposito del caso Khelif l’approccio di Pigozzi è chiaro: “C’è una grande attenzione da parte di tutti sulla questione dei
diritti umani. E’ estremamente importante, in questo contesto,
il rapporto tra diritti umani e valutazione scientifica. Dal
punto di vista medico, abbiamo deciso di affrontarlo sulla base
di analisi scientifiche, con lo scopo di integrare il
ragionamento sui diritti umani anche tenendo conto delle
valutazioni scientifiche”. Sì, professor Pigozzi: ma dai
peggiori bar di Caracas alle Cancellerie gira e rigira
l’interrogativo è sempre quello: Khelif è donna? Ed è giusto
farla combattere con altre donne? “Per valutare se Imane Khelif è donna bisognerebbe avere tutti i
dati, da quello che ho visto e letto mi sembra chiaro però che
si tratti di un caso di intersex: una situazione nella quale ci
sono caratteristiche femminili ma anche della caratteristiche
genetiche maschili. Quindi in tali situazioni bisogna
approfondire e fare in ogni caso una valutazione asettica, a
livello scientifico, proprio per identificare il genere, che tra
l’altro è stata già fatta nel contesto del Gioco olimpico, con
la sua inclusione nel genere femminile. Un atleta non può essere
escluso sulla base di una problematica di genere”.
Altro grande tema è quello del doping: eppure sarà la vastità
degli argomenti di questa Olimpiade, ma pare scomparso dai
radar…
“Il doping non è morto, se ne parla di meno quando non c’è il
caso eclatante: per le statistiche ad oggi, abbiamo già tre
casi: un dato che è nella media olimpica. In tre settimane
vengono fatti circa quattromila controlli: un grande sforzo
organizzativo. Chi viene ai Giochi olimpici sa che viene
controllato: uno strumento importantissimo per la prevenzione”.
E in Italia la situazione come è? “Lo dico – replica Pigozzi –
con grande soddisfazione, l’antidoping in Italia, dal punto di
vista organizzativo, esiste dal 1961. C’è una cultura
dell’antidoping, oggi c’è stata data una veste di indipendenza che ci mette alla pari del resto del mondo. Con il decreto sport
convertito in legge, il Governo ha voluto dare un segnale di
dignità alla struttura e ha dimostrato anche la grande
attenzione che in questo Paese si vuole dare alla tutela dalla
salute: da medico devo dire che l’antidoping è la struttura per
proteggere l’atleta pulito. E’ una lotta lunga, dura, difficile,
però di fatto i motori dell’antidoping sono la protezione della
salute dell’atleta, la difesa dell’etica medica e le pari
opportunità per far competere tutti”. La nuova frontiera
rischia di essere un uso improprio del monossido di carbonio? “Questa metodica richiede alla base la creazione artificiale di
uno stato di ipossia, che stimola poi la creazione dei globuli
rossi. Raggiunto così sarebbe un gravissimo rischio per la
salute. Un aspetto che è attenzionato e che sarà argomento di
una riunione a fine mese, a Montreal della Health, Medical &
Research della Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, dove sarà
possibile acquisire eventuali informazioni”.
Insomma, la storia è quella infinita di Guardie e Ladri: chi
vincerà tra doping e antidoping? “L’importante è che ci siano
sempre più risorse per combattere i ‘ladri’. E’ una lotta
difficile, ma la difesa è stata molto potenziata con strumenti
sempre più sofisticati. Serve impegnarsi nella ricerca
scientifica e nell’intelligence investigation e serve far
conoscere il rischio dell’abuso di sostanze per chi fa sport. Mi
consenta un gioco di parole, non dobbiamo mai abbassare la
guardia…”.
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