Non c’è alcuna ragione scientifica per tenere chiusi luoghi come gli Uffizi. Che, al contrario, aiutano a contrastare i danni della pandemia.
Sembra che il 20 aprile inizieranno ad aprire alcuni musei. Non è certo, come del resto nella gestione del Covid non è certo nulla e questo non perché l’andamento del virus sia «non programmabile» – cosa che contiene della verità – ma perché proprio in conseguenza di questo fatto non si è voluto o non si è riusciti a programmare, a diversificare i livelli di rischio delle varie situazioni (scuola, fabbriche, musei, centri sportivi, centri commerciali, supermercati, trasporti pubblici), misura che andava pensata e appunto programmata. Ma soprattutto andava decisa. L’unica decisione ferrea, ferma, apparentemente incontrovertibile è stata la chiusura che ha prodotto tra l’altro effetti molto discutibili.
Di tutte queste realtà i musei meritano un’attenzione particolare perché non sono una cosa tra le cose, un’istituzione tra le istituzioni, sono – come si riempiono la bocca in molti da tempo, evidentemente non credendoci – i nostri giacimenti culturali. Come è noto la nostra economia è da sempre un’economia di trasformazione, cioè non avendo le materie prime trasformiamo ciò che la maggior parte delle volte importiamo dall’estero. In altre parole, non abbiamo altri giacimenti che non quelli culturali. Questi hanno un senso profondo per noi italiani. Non solo perché ci identificano all’estero, ma perché per noi stessi, per la nostra vita, rivestono un ruolo fondamentale già a partire dalla giovane età lungo tutto il corso dell’esistenza. Ci abituano alla bellezza e non occorre citare Fëdor Dostoevskij per sapere che la bellezza è la vera salvezza del mondo. E se lo è in situazioni normali, lo è ancora di più in un momento di difficoltà come quello che stiamo attraversando.
Ho avuto la fortuna, anzi il privilegio, di poter visitare recentemente gli Uffizi e le sue Gallerie per girare un servizio per la mia trasmissione Dritto e Rovescio. Ho incontrato il direttore del museo Eike Schmidt col quale mi sono confrontato sulle possibilità reali che un museo come quello di Firenze potesse rimanere aperto, anche durante la pandemia, assicurando che non si creassero assembramenti e contingentando l’ingresso. Chi ha visitato gli Uffizi sa che questi spazi – sia delle gallerie vere e proprie sia delle altre sale – non sono angusti e consentono una visita dove le persone possono stare a una distanza ben superiore ai due metri, indossano ovviamente la mascherina, la loro temperatura può essere controllata all’ingresso, possono disinfettarsi le mani e depositare borse e quant’altro in appositi contenitori a loro volta sanificati. Il dottor Schmidt mi ha confermato che tutto questo sarebbe stato ed è possibile. Certo, con un grande impegno e con la dovuta diligenza, ma possibile.
Devo dire, per esperienza personale – e non sta parlando uno storico o un critico dell’arte, né una persona particolarmente esperta in essa – che quella visita per me ha significato una boccata d’aria. Uscito da lì stavo meglio, non perché mi ero dimenticato del Covid ma perché l’anima era stata a contatto con la bellezza e aveva ripreso vigore; quel vigore che rende la vita più facile da essere affrontata. Dico questo per me: ma credo che chiunque avrebbe potuto dire lo stesso, in un periodo come questo, dopo aver potuto fare l’esperienza che ho vissuto io.
Tra l’altro molti studi hanno confermato che i musei sono luoghi dove il virus non circola e allora la domanda è: perché gli Uffizi debbono stare chiusi e la metropolitana milanese resta aperta con un assembramento e un affollamento che non ha eguali su altri tipi di trasporto pubblico? Mi sono anche domandato: ma è mai possibile che nessuno al governo abbia avuto il coraggio e la forza di dire «preserviamo almeno la bellezza!». Poi, però, mi sono chiesto: chi avrebbe potuto dirlo? Chi se la sarebbe sentita di fare una simile affermazione? Ci vogliono forza, determinazione, cultura politica, senso di rappresentanza di un popolo per dire cose di questo tipo. Ci vuole la consapevolezza che si governa una comunità nella sua interezza e che in quella interezza la cultura deve godere di uno spazio privilegiato. Se qualcuno non lo ha detto vuol dire che non ci ha pensato e se non ci ha pensato, alla fine, vuol dire che non ci crede.
Possibile che in tutto il Parlamento si sia alzato a gridarlo, e più volte, solo Vittorio Sgarbi? Possibile che il nostro ministro della Cultura non si sia imposto in questo senso? Veramente qualcuno ha pensato che la chiusura dei musei – ci riferiamo in particolare a quelli che godono di ampi spazi – possa essere stato e sia uno dei deterrenti fondamentali al diffondersi del contagio? Sono uscito da quel museo felice e triste nello stesso tempo per i motivi che ho provato a raccontarvi.
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