La Cina mostra i muscoli ma Taiwan vuol vendere cara la pelle

Se l’invasione natalizia dello spazio aereo di Taiwan da parte di oltre 70 velivoli militari cinesi è stata la risposta alla decisione del Pentagono di finanziare nuove vendite militari a Taipei approvando il National Defense Authorization Act (Ndaa), ora il provvedimento che il governo dell’ex Formosa sta prendendo non lascia dubbi sulle sue intenzioni di vendere cara la pelle se Pechino deciderà di sferrare l’attacco promesso per annettere la “sua” provincia ribelle. L’incontro sulla sicurezza nazionale tenutosi nella mattinata di oggi 27 dicembre prevede infatti l’aumento del periodo della leva obbligatoria da quattro mesi a un anno. Il presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha già precisato mediante la Central News Agency, canale di comunicazione governativo, che il provvedimento riguarderà tutti gli uomini adulti in modo da “adeguare la struttura della difesa nazionale” alla situazione, anche se, stando all’ordinamento attuale, la modifica di legge entrerà però in vigore soltanto nel gennaio 2024 e quindi avrebbe bisogno di un ulteriore modifica legislativa per poter divenire operativa.

Popolata da etnie cinesi ma di fatto radicate su cultura più simile a quella giapponese (ma nei secoli fu anche territorio spagnolo e olandese), Taiwan non vuole subire alcuna riunificazione con la Cina, essendo i due stati divisi dalla fine della guerra civile cinese nel 1949, quando famiglie cinesi si rifugiarono sull’isola persa dai giapponesi con la resa del 1945. Lo squilibrio tra le forze in campo è impressionante sia dal punto di vista numerico, con Taiwan che dispone di 88.000 uomini contro i due milioni di Pechino, sia per la disponibilità di equipaggiamento militare. Inoltre, il servizio militare obbligatorio era profondamente impopolare a Taiwan, e progressivamente, dalla trasformazione del governo da dittatura a democrazia progressista, è stato ridotto agli attuali quattro mesi per creare una forza prevalentemente volontaria. Secondo media locali però, nel sentimento diffuso dei suoi cittadini l’attuale periodo di servizio militare sarebbe troppo breve e non basterebbe l’intensificazione dell’addestramento dei riservisti, né tanto meno l’acquisto di aerei da guerra e missili anti-nave, per poter respingere un’invasione cinese. Come sempre, oltre ad avere armi moderne, serve infatti l’addestramento continuo, per sviluppare il quale ci vuole tempo.

Nella giornata di Natale il ministero della Difesa di Taiwan aveva denunciato la presenza di 71 aerei e di una flotta di navi militari cinesi nelle vicinanze dell’isola, con la metà dei velivoli che avrebbero attraversato l’ormai celebre “linea mediana” dello stretto tra il suo territorio e la costa cinese. Secondo le tracce radar si sarebbe trattato di una trentina tra caccia J-11 e J-16 (supremazia aerea e guerra elettronica), e di alcuni Su-30 (multiruolo e bombardamento), quindi di una forza notevole ma non coerente per un attacco imminente, che vederebbe prima il lancio di missili per eliminare le (notevoli) difese dell’isola e non certo l’arrivo in parata di stormi che volino all’interno della copertura radar di Taiwan. La Difesa di Taipei ha reagito con il decollo di caccia F-16 che hanno identificato i bersagli, ma non ci sarebbe stata alcuna reazione cinese né alcun ingaggio.

Non è la prima volta che accade un tale sconfinamento, soprattutto dopo la visita a Taipei della speaker della Camera dei Rappresentanti Usa Nancy Pelosi avvenuta nell’agosto scorso, mossa che aveva fatto infuriare Pechino. Analisti militari occidentali sostengono da tempo che l’attacco all’isola da parte cinese sarebbe avvenuto qualora il conflitto russo-ucraino si fosse allargato, probabilmente anche con un intervento da parte della Corea del Nord e con l’ovvia reazione della Corea del Sud. Ma un tale scenario catastrofico sarebbe il preludio al terzo conflitto mondiale, poiché coinvolgerebbe direttamente Usa e Giappone in difesa delle loro basi nel Pacifico, prima su tutte Guam, a sud delle isole Marianne settentrionali.

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