domenica, 24 Novembre 2024
La filosofia dei voli Virgin Galactic, (quasi) nello spazio ma comodi
Ci sono diversi motivi per considerare storico il volo Virgin Galactic “Unity 22” dell’undici luglio, quando in poco più di un’ora lo Spaceship Two Vss Unity di Richard Branson ha portato lui e altre cinque persone quasi a raggiungere la Linea di Karman, un confine simbolico posto a 100 km di altezza, per gli aviatori 330.000 piedi, ovvero dove l’umanità ha deciso che finisce l’atmosfera terrestre e comincia lo spazio. Ci sono andati vicino: 282.000 piedi, 87 km, e per la navicella privata è stata la prima volta con a bordo “il capo” e anche l’ultima senza passeggeri paganti, o invitati a salire, come saranno d’ora in poi quelli che faranno questi voli. Si potrebbe obiettare che Unity 22 non abbia effettivamente raggiunto lo spazio, ma bisogna considerare che per conquistare le ali da astronauta secondo gli standard americani basta salire fino a 80 km, come definito dall’Esercito Usa, dalla Nasa e anche dall’autorità aeronautica Faa. La differenza con l’azienda concorrente di Virgin Galactic, ovvero la Blue Origin di Jeff Bezos, che promette di arrivare oltre i cento chilometri è stata già sottolineata, ma se questi riuscirà a superare Branson lo sapremo soltanto il 20 luglio.
WATCH LIVE: Virgin Galactic Unity 22 Spaceflight Livestream www.youtube.com
In realtà con il volo Unity 22 Virgin Galactic ha voluto che l’equipaggio valutasse l’esperienza dell’astronauta privato, ossia del cliente, compiendo una valutazione del comfort e di come ci si sente dentro la cabina di SpaceShip Two con un equipaggio al completo, ed anche se la rapida formazione che si svolge prima dei voli sia sufficiente per rendere le persone soddisfatte del loro acquisto. A pensarci esattamente l’opposto di quanto avvenne per i primi astronauti negli anni Sessanta, che dovettero minacciare il team di Vernher von Braun di raccontare tutto alla stampa per ottenere l’installazione di un finestrino e di bulloni esplosivi sul portello per l’apertura d’emergenza sulla capsula di Alan Shepard. Almeno come racconta lo scrittore Tom Wolfe nel suo celebre libro The Right Stuff, la stoffa giusta.
Ci si potrebbe chiedere perché mai pagare tanti soldi (250.000 dollari a biglietto) per essere sottoposti a un’esperienza rischiosa, ma oltre a quanto possiamo trovare nelle spiegazioni più o meno logiche, come quella disarmante quanto perfetta pronunciata da Enzo Ferrari in tutt’altra occasione «La passione non si spiega, si vive», ci sono almeno altre tre ragioni che invece sono assolutamente razionali. La prima: arrivare in un luogo che fino a oggi soltanto qualche centinaio di persone ha potuto raggiungere, soddisfando curiosità e certamente vanità. La seconda: sperimentare l’assenza di peso per un tempo di circa quattro minuti, al posto che pochi secondi come permesso dai voli parabolici fatti con appositi aeroplani e galleggiare senza più un alto e un basso, sfuggendo per poco e con un inganno all’attrazione terrestre. Terzo, il più importante: guardare fuori dai finestrini e ammirare con i propri occhi una bella fetta del nostro pianeta perso in quel nero infinito che lo circonda e che da terra è impossibile ammirare. Non potendo non notare quanto sia fragile, meraviglioso, unico. E forse pronunciare quanto molti piloti – anche chi scrive – hanno detto andando poco oltre i 15 km di altezza, dove la curvatura dell’orizzonte diventa visibile: tutta questa bellezza non può essere stata creata dal caso.
Richard Branson’s Message From Space www.youtube.com
È stata «l’esperienza di una vita», ha detto Richard Branson durante la trasmissione in diretta del volo, mentre la sua astronave stava per toccare Terra presso lo Spazioporto America, nel Nuovo Messico, dopo un volo impeccabile, «ho sognato questo momento da quando ero bambino, ma andare nello spazio è stato più magico di quanto avessi mai immaginato».
Certo dai video impressiona vedere i suoi collaboratori scherzare, stare comodi, usare persino il telefono cellulare mentre ormai stavano planando verso la pista d’atterraggio. Niente più tubi a collegare queste persone alle capsule, niente più caschi e tute ingombranti, soltanto un paracadute per questo quarto volo di prova, il primo con sei persone a bordo, che oltre al capo Branson ha visto decollare Beth Moses, il capo istruttore degli astronauti di Virgin Galactic; Colin Bennet, l’ingegnere responsabile delle operazioni presso l’azienda; Sirisha Bandla, vicepresidente degli affari governativi e delle operazioni di ricerca di Virgin Galactic e naturalmente i piloti Dave Mackay e Mike Masucci.
La chiave del successo dei voli di Virgin Galactic sta proprio nel comfort: niente sofferenza al lancio, con il corpo degli occupanti sottoposto a quasi quattro volte il suo peso per diversi minuti, ma una partenza che vede l’astronave agganciata all’aeroplano madre Eve (WhiteKnight Two) che la porta fino a 15 chilometri d’altezza. Certo poi c’è l’accelerazione violenta che fa schizzare la velocità da quella di un normale aeroplano commerciale fino a tre volte quella del suono in meno un minuto, ma poi allo spegnimento del razzo si è arrivati a destinazione e, slacciando le cinture di sicurezza, si galleggia nell’abitacolo, ci si laurea astronauti per un’ora rimanendo anche connessi con i social, dimenticandosi che ci si trova su un veicolo spaziale sperimentale e non «certificato per trasportare passeggeri», che non esiste routine e che la sperimentazione è appena cominciata e dunque servirà tempo per validare tecnologia e procedure. Non è stato proprio tutto perfetto dal punto di vista mediatico, Mike Moses ha ammesso che video e audio trasmessi da bordo sono stati un po’ confusi, ma la causa è nota e il miglioramento già approvato.
Dopo questa missione Virgin Galactic ispezionerà i veicoli utilizzati per comprendere se potranno essere riutilizzati i tempi brevi e inizierà un’ampia revisione dei dati raccolti, pensando quindi di lanciare altri due voli di prova con equipaggio prima di iniziare definitivamente il servizio commerciale nel 2022. La strada fino a qui è stata lunga: Branson ha fondato l’azienda nel 2004 dopo che lo SpaceShip One, un veicolo costruito dalla società Scaled Composites e finanziato dal defunto miliardario Paul Allen, vinse l’Ansari X-Prize da 10 milioni di dollari messo in palio dall’omonima fondazione no-profit con sede a St. Louis, nel Missouri, creata per incentivare innovazioni tecnologiche in vari campi. Branson ha utilizzato le competenze della Scaled Composites per progettare White Knight Two e quindi SpaceShip Two, ma da allora il percorso intrapreso è stato lento e doloroso. Nel 2007 un incidente costò la vita a tre dipendenti dell’azienda e nel 2014 la prima SpaceShipTwo di Virgin Galactic, la VSS Enterprise, si ruppe durante un volo di prova. Quel tragico incidente, attribuito a un errore del pilota, uccise il collaudatore stesso e ne ferì gravemente un altro, costringendo Virgin Galactic fermare i programmi e a sviluppare nuovi sistemi di sicurezza per evitare che potessero ripetersi incidenti simili. Ma con il volo di Unity 22 l’azienda sembra ormai essere pronta per raggiungere il suo obiettivo.