La forza del Governo Meloni sta nella sua chiarezza politica e culturale

Per la prima volta non soltanto un governo è guidato da una donna, ma sempre per la prima volta un governo di destra sembra avere una posizione culturale molto netta. Siamo abituati a ragionare sempre con categorie economiciste quando si tratta di potere italiano, ma è la cultura il sostrato più forte di ogni svolta politica. La ridenominazione dei ministeri, la scelta di figure politiche che da anni lavorano sul fronte del conservatorismo e la messa in discussione dei pilastri del pensiero progressista, una leadership forte che ha messo in piedi – tra opposizione e moderazione – una svolta politica e culturale. Questo approccio per certi versi ideologico e identitario del governo Meloni, segnala una novità ma per molti aspetti chiarifica e semplifica il sistema politico dopo un decennio di alternanza tra commissariamento tecnocratico e nuovi avventurieri del potere di origine populista.

Proprio il populismo in Italia sembra definitivamente sepolto, almeno nella sua forma assoluta. Il governo Meloni, ora che se ne è vista la composizione finale, non ha nulla di populista, antipolitico o anti-establishment. Dopo due legislature caratterizzate da una retorica anti-politica e anti-establishment molto forte e dall’ascesa di nuovi partiti (Lega, Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia), oggi il sistema politico italiano sembra evolvere verso una più tradizionale divisione destra-sinistra. L’intenzione della Meloni di istituzionalizzare la destra è chiara, rintracciabile sia nella prudenza programmatica degli ultimi mesi che nella scelta di personalità difficilmente considerabili come estremiste. Il nuovo governo, dunque, si presenta come un classico governo di destra: moderatamente nazionalista, conservatore, protezionista. In questa fase, è anche difficile etichettare il governo come euroscettico. Nel corso della transizione, infatti, Meloni ha seguito la linea politica di Draghi sia sul fronte fiscale che su quello della politica internazionale. La maggior parte dei ministri, inoltre, non ha mai abbracciato un euroscetticismo palese e si è formata politicamente durante l’era di Berlusconi (anni ’90-2000). Se si analizzano le biografie dei ministri si trovano: ex membri dei governi di Forza Italia-Alleanza Nazionale degli anni 2000; rappresentanti del mondo imprenditoriale e tecnici; cattolici tradizionalisti; molti politici di esperienza (Urso, Tajani, Giorgetti). La vera e unica novità è Giorgia Meloni, nuovo leader dominante della politica italiana e primo Presidente del Consiglio donna. In definitiva, il gabinetto della Meloni è il governo dell’establishment di destra italiano. E va bene così, senza scosse giacobine e senza commissariamenti tecnocratici.

Cosa possiamo aspettarci dal nuovo governo? Giorgetti al Tesoro rappresenta la continuità con Draghi su bilancio e NextGeneration EU. Sulla politica fiscale non ci saranno sorprese. È plausibile che l’esecutivo esibisca un protezionismo più pronunciato sulle grandi società italiane, sugli investimenti esteri e sulle politiche agricole. La politica migratoria rimarrà in linea, seguendo il percorso stabilito da Minniti nel 2017, forse senza gli eccessi mediatici di Salvini. La Libia resterà il teatro d’azione prevalente per il contrasto all’immigrazione clandestina. L’energia rimane il vero rompicapo per Giorgia Meloni, per ora non c’è una chiara linea politica -a parte la diversificazione dei fornitori nel Nord Africa, che continuerà – su come si affronterà la crisi inflazionistica. È probabile, però, che la materia venga centralizzata in qualche modo a Palazzo Chigi, con un commissario o una struttura apposita. Possiamo aspettarci, inoltre, una moderata espansione del bilancio della Difesa e nuovi investimenti in tecnologie militari. Per quanto riguarda la politica estera, un tentativo di negoziare con la Commissione UE (e gli Stati membri) sui fondi per l’energia e piccole modifiche al PNRR, oggi indebolito dall’inflazione e troppo sbilanciato sulle politiche green. Mentre un maggiore attivismo nel Mediterraneo, per l’approvvigionamento energetico e il contenimento dell’immigrazione è facilmente prevedibile. Infine, il sostegno all’Ucraina rimarrà solido (nonostante Salvini e Berlusconi) e il governo continuerà la linea dura contro gli investimenti cinesi. Da ultimo, proprio la cultura. La scelta di Sangiuliano e Valditara è il segno della volontà di incidere profondamente sugli aspetti della formazione e della cultura degli italiani. Due intellettuali, e organizzatori di cultura, di marca conservatrice mostrano l’intento del nuovo governo di provare a imporre un registro linguistico e culturale. Una novità per una destra che ha sempre trascurato questi aspetti per prediligere quelli di taglio economico e securitario. La sfida conservatrice e di costruzione di una nuova destra parte proprio da questi ministeri.

In conclusione, continuità con il governo Draghi, legami con le passate esperienze del berlusconismo, nuovi intarsi di conservatorismo e una leadership centralizzata e forte da parte del Presidente del Consiglio sono i quattro punti cardinali sotto cui nasce questo esecutivo.

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