La giusta posizione dell’Europa: il minore sia al centro delle dispute civili

Il 5 aprile scorso il Parlamento Europeo ha emesso una ‘risoluzione’ molto elaborata e dedicata interamente alla tutela dei minori nelle cause civili, amministrative e – in genere – di diritto di famiglia che li coinvolgono, sottolineando, in apertura, la preoccupazione per l’incremento del numero dei minorenni che entrano in contatto con la giustizia, incremento dovuto essenzialmente all’aumento esponenziale del numero di separazioni e divorzi.

Ancorché una risoluzione non costituisca atto vincolante ma rappresenti una mera raccomandazione al Consiglio d’Europa, alle Commissioni e agli Stati membri, debbo però riconoscere come il documento sia molto ben fatto ed efficace, potendo costituire il volano per una svolta epocale nel nostro Continente, almeno su questo tema.

A distanza di quasi 30 anni dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, infatti, l’Europa non è ancora davvero unita e prevalgono individualismi e orticelli dove ogni Paese si manifesta geloso delle proprie leggi e delle proprie prerogative, soprattutto in ambito giudiziario, con differenze talvolta imbarazzanti.

Questo ha condotto a un mosaico di ordinamenti diversi fra loro, con leggi non armonizzate a livello comunitario e incredibili problemi quando sorgono controversie in famiglie a composizione transfrontaliera.

Ecco perché il Parlamento Europeo ha voluto tracciare linee guida nette, richiamando gli Stati a mettere il minore al centro di tutto, stimolando il rispetto di Convenzioni internazionali e l’elaborazione di normative sinergiche che lo rendano davvero protagonista dei procedimenti che lo coinvolgano. Come?

Intanto mediante l’ascolto, la rappresentanza e l’informazione in giudizio: nel primo caso ricordando sempre che il minore ha diritto a esprimere il proprio punto di vista in qualsiasi procedimento concernente il suo benessere e le sue future modalità di vita; nel secondo caso sancendo il diritto del minore a partecipare al giudizio con un proprio rappresentante o consulente legale, diverso da quelli dei genitori; nel terzo caso rimarcando la necessità di informare il minore in tutte le fasi del processo in cui, direttamente o indirettamente, sia parte.

Tutto questo deve avvenire senza discriminazioni il che implica la creazione di fondi e meccanismi di gratuito patrocinio che tutelino i minori e le famiglie meno abbienti che, diversamente, non potrebbero permettersi di difendersi adeguatamente in giudizio.

Consapevoli della farraginosità, dei tempi e dei costi – appunto – gli estensori della predetta risoluzione puntano moltissimo sugli strumenti extra-processuali, quali la mediazione familiare precontenziosa, a tutt’oggi molto poco utilizzata; uno spazio di confronto davanti a un professionista preparato che promuova accordi fra i genitori, evitando loro di portare la lite in Tribunale.

Sul punto, se da un lato comprendo la finalità di questo istituto, dall’altro intravedo una semplificazione pericolosa perché si rischia, senza l’assistenza legale adeguata, di esporre le coppie – e quindi i minori – ad accordi ‘monchi’, mal ponderati, dove i diritti della parte debole non vengano compresi dal conciliatore e siano così sacrificati alla bulimica ricerca di un’intesa a tutti i costi: magari ci sarà un procedimento in meno, ma una vittima in più.

Magari quegli stessi minori che la risoluzione del Parlamento Europeo ha posto al centro.

Info: missagliadevellis.com

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