martedì, 26 Novembre 2024
La giusta Sovranità Alimentare contro i plagi nel mondo
Ha fatto molto discutere la scelta del nuovo governo di rinominare il ministero dell’agricoltura in ministero della sovranità alimentare. Nome molto evocativo e di gran moda per chi da sempre accusa Fratelli d’Italia di sovranismo e populismo. Eppure, al contrario di quello che si pensa, il termine sovranità alimentare ha poco a che fare con autarchia e sovranismo.
Nella definizione originaria coniata nel 1996, proprio a Roma da Via Campesina, organismo internazionale che raggruppa 182 entità in 81 paesi, si parla certamente di privilegiare le tradizioni e le economie locali, ma per un migliore e più sostenibile sfruttamento delle risorse a disposizione, e non a caso è proprio lo stesso concetto su cui si basa l’attività di un’organizzazione come Slow Food, certo non tacciabile di sovranismo, nè populismo (e nemmeno di simpatie di destra). Ma, detto ciò, sicuramente il nuovo ministero guidato da Francesco Lollobrigida, cercherà di tutelare il made in Italy nell’agroalimentare, che continua a rimanere un settore vitale della nostra economia e che con i suoi 538 miliardi di euro di fatturato, rappresenta circa il 25 % del nostro Pil.
E soprattutto, ricordando le campali battaglie che il suo partito Fratelli d’Italia insieme alla Lega ha fatto in questi anni in Europa, dovrà tutelare i nostri prodotti di eccellenza dal cosiddetto e sempre più diffuso fenomeno di italian sounding. Prosek, parmesan, zottarella, salsa di Pomarola, non sono refusi, ma nomi alimentari usati all’estero per ingannare il consumatore sui prodotti tipici del made in Italy, conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo. Secondo un recente report dello studio Ambrosetti, il fenomeno riguarderebbe il 97% dei sughi per pasta, il 94% delle conserve sott’olio e sotto aceto, il 76% dei pomodori in scatola e il 15% dei formaggi venduti nel mondo come prodotti italiani, soprattutto nel circuito della grande distribuzione, a un prezzo inferiore rispetto al valore medio delle specialità autentiche. Tutto questo, sempre secondo lo studio Ambrosetti comporterebbe un danno per l’export del nostro agroalimentare pari ad una cifra compresa tra gli 80 ai 100 miliardi di euro all’anno.
L’Italian Sounding risulta più marcato in Giappone, con una quota di prodotti non autentici italiani pari al 70,9%, in Brasile con una quota pari al 70,5%, e in Germania, con una quota del 67,9%. Guardando al cluster dei prodotti, l’Italian Sounding è più diffuso nel ragù, con una quota di prodotti non provenienti dall’Italia pari al 61,4%, nel parmigiano, con una quota del 61,0%, e nell’aceto balsamico (60,5%). Tutto ciò in un contesto che, guardando gli ultimi dati dell’Ismea, parla comunque di un export agroalimentare in ottima salute, considerando che nel 2021 ha realizzato un record con oltre 52 miliardi di euro di prodotti, e nei primi sette mesi del 2022 ha già realizzato un +17,5%, con Germania, Usa e Francia come principali paesi di destinazione.
Ma questi dati non devono ingannare perché si riferiscono al boom registrato post covid, e che come fa notare il responsabile economico della Coldiretti a Panorama, sono fuorvianti, perché si riferiscono a raccolti dei mesi precedenti, mentre la situazione attuale parla di un settore in grande crisi, non solo per rincari energetici e per i problemi legati alla guerra: “La filiera agroalimentare italiana, dalla produzione agricola all’industria di trasformazione, sino alla distribuzione, si sta fermando a causa dell’aumento dei costi dei prodotti energetici e delle materie prime, con delle ripercussioni economiche e sociali facili da immaginare”.
La realtà è quella che parla di un terzo di aziende agroalimentari ( 34%) che lavorano attualmente in perdita e di un 13% a forte rischio chiusura. Ecco allora che un piano di grande attenzione al settore, che magari cerchi anche di arginare gli effetti non certo positivi di alcune decisioni da parte della Ue, che sembrano favorire produttori extraeuropei rispetto a quelli comunitari, come la questione degli accordi con commerciali con alcuni paesi extra ue ( come la Cambogia e il Vietnam per il riso o il Canada per il grano) o la decisione di riduzione drastica dell’utilizzo di fitofarmaci in agricoltura che potrebbe, come denunciato di recente dal presidente Coldiretti Prandini, far crollare la produzione di cibo in Italia al -30%., o ancora la regola che prevede l’obbligo di rotazione dei terreni coltivabili, che priva il nostro paese del 10% dell’intera superficie coltivabile ( che nel nostro paese è di 12.598.161 ha) ogni anno. Senza contare gli effetti del cambiamento climatico, che secondo i dati di Bankitalia, hanno provocato danni in agricoltura che superano già i 6 miliardi di euro dall’inizio dell’anno, pari al 10% della produzione nazionale.
E’ quasi naturale che il nuovo ministro espressione di un partito come Fratelli d’Italia, non potrà non occuparsi del famigerato sistema di etichettatura del Nutriscore, che Francia e Germania dovrebbero rendere obbligatorio in tutta Europa, ma che penalizza fortemente i prodotti tipici del made in Italy. In nome della sovranità alimentare il nostro paese può perciò fortemente opporsi a tutto quello che può ledere gli interessi dell’agroalimentare e delle eccellenze italiane: “Non è inedito ce l’hanno anche in Francia e sono quelli che hanno difeso meglio i loro prodotti; quindi, riteniamo sia completamente in linea con la vocazione che avremo anche noi, difendere i nostri prodotti”. ha detto Lollobrigida, in una delle sue prime uscite da neoministro. Tre settimane fa, sempre Lollobrigida, in visita al Villaggio Coldiretti a Milano, aveva detto, forse preannunciando la futura nomina: “Il made in Italy è la vetrina dei prodotti migliori che abbiamo nella nostra Nazione e che dobbiamo difendere. In questi anni, purtroppo, non abbiamo avuto condizioni di favore”.