La guerra in Ucraina arriva in Medio Oriente

Con l’ingresso dei «droni kamikaze» di origine iraniana in Ucraina, il conflitto cambia e assume una veste ancor più crudele e disperata. Mosca ne ha acquistati centinaia negli ultimi mesi dall’Iran (che ovviamente nega la circostanza), ma ha iniziato a farne uso soltanto adesso: quando cioè il suo esercito appare in estrema difficoltà e deve ricorrere a simili mezzi per dare segnali di vitalità.

Pazienza se quei droni violano la risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull’embargo. Se le sanzioni contro Teheran dovrebbero impedire ai persiani questi tipi di commercio. E se ciò ha fatto scattare campanelli d’allarme a Gerusalemme, la cui intelligence monitora attentamente i traffici di armi dei pasdaran in ogni angolo della terra.

À la guerre comme à la guerre, è attualmente il motto del Cremlino: ogni situazione va accettata per ciò che è, e al momento bisogna contentarsi delle risorse che sono offerte dalle circostanze. E siccome Mosca non ha di meglio da offrire – ed è costretta a raccattare armi scadenti così come rastrellare prigionieri da mandare al fronte – perché non usare strumenti utili a terrorizzare anzitutto la popolazione, considerato che i droni iraniani sono buoni per disintegrarsi su obiettivi statici (come appunto le infrastrutture civili) e non invece mobili (come i mezzi pesanti dell’esercito)?

L’aeronautica ucraina ha dichiarato di averne distrutti 37 lo scorso lunedì su un totale di 42 droni lanciati come uno sciame killer direttamente sopra Kiev. In totale, sopra l’Ucraina ne sarebbero stati lanciati 84, secondo i rilievi dei satelliti. La qual cosa non sarebbe una notizia particolarmente rilevante, se ciò non avesse agitato gli israeliani.

Già. Perché quelli che abbiamo visto in azione sui cieli dell’Ucraina sono gli stessi modelli di «velivoli suicidi» progettati e concepiti dagli iraniani proprio per colpire Israele: nove mesi fa erano stati lanciati contro gli Emirati Arabi, e ancor prima (nel 2019) contro il più grande impianto petrolifero dell’Arabia Saudita, Abqaiq, quando un’incursione spettacolare vide l’impiego contemporaneo di 18 droni che distrussero parte della megastruttura.

Israele sinora ha mantenuto nel conflitto in Ucraina una posizione di equidistanza ed equilibrio: cosa che ha irritato non poco i vertici dell’amministrazione di Kiev e ha spinto lo stesso presidente Volodymyr Zelensky a dover ricordare le sue origini ebraiche (come se ciò potesse indurre Gerusalemme a un impegno maggiore).

L’intelligence israeliana ha in ogni caso passato molte informazioni sensibili agli ucraini proprio sui droni iraniani, e ha condiviso a più riprese importanti immagini satellitari (attraverso attori privati), ma non si è impegnata oltre con Kiev. Adesso, però, qualcosa sembra muoversi. «La consegna da parte dell’Iran di missili balistici alla Russia è una chiamata per Israele, perché fornisca aiuto militare all’Ucraina» ha dichiarato in un tweet il ministro israeliano per la Diaspora, Nachman Shai.

Non può bastare. Anche perché il governo israeliano, dopo la caduta di Benjamin Netanyahu, ha conosciuto crisi ripetute con premier provvisori ed elezioni parlamentari che si susseguono tuttora in un clima d’instabilità e incertezza. Ragion per cui non esiste una posizione univoca sulla guerra da parte della Knesset; a maggior ragione considerato il fatto che Gerusalemme e Mosca condividono un altro delicatissimo teatro di guerra, quello siriano, dove Israele ha molti più interessi nel mantenere buone relazioni con i russi in funzione antiterrorismo (leggi Hezbollah e milizie filo-iraniane).

In Israele si torna a votare tra un paio di settimane, e mentre i sondaggi politici condannano ancora all’incertezza il Paese, c’è chi pensa che a capo del governo possa persino tornare un redivivo Bibi Netanyahu, i cui rapporti personali con Vladimir Putin sono particolarmente buoni. A rompere l’idillio tra i due, però, ci ha già pensato Dmitri Medvedev, ormai a tutti gli effetti la voce più incendiaria di Russia: «Sembra che Israele fornirà armi al regime ucraino. Una mossa molto sconsiderata, distruggerà tutte le relazioni interstatali tra i nostri Paesi», ha tuonato l’ex presidente russo.

Vero o meno che sia, l’intelligence di Gerusalemme è consapevole che Teheran continuerà a fornire armi ai russi – nonostante le smentite – e avrebbe persino inviato alcune unità della Guardie della Rivoluzione iraniane sul territorio ucraino, per studiare la situazione. Secondo il Washington Post, inoltre, le autorità iraniane si starebbero preparando a trasferire in Russia un lotto importante di missili balistici, poiché i depositi di Mosca sono ormai semivuoti e durante la ritirata delle ultime settimane i soldati russi hanno abbandonato ingenti quantitativi di armamenti e munizioni.

Il ruolo crescente di Teheran in Ucraina a sostegno di Mosca si spiega con le difficoltà di quest’ultima nel gestire la campagna militare e la pretesa di chiamare a raccolta gli alleati. Come non citare in proposito le manovre al confine settentrionale della Bielorussia? Il Cremlino intende aprire un nuovo fronte al nord per alleggerire la pressione nel Donbass, dove la controffensiva ucraina continua a premere.

Se riuscisse a convincere Minsk a riaprire il fronte nord intorno a Kiev, questo costringerebbe gli ucraini a smobilitare parte delle forze impegnate a sudest per organizzare la difesa della capitale. Ma un impiego diretto della Bielorussia sul campo ucraino, così come di Teheran, potrebbe rappresentare la fatidica «linea rossa» che renderebbe questo conflitto regionale una guerra totale.

Teheran e Minsk, peraltro, hanno entrambi gravissimi problemi interni di ordine pubblico: con i primi che devono fronteggiare la più grande protesta civile dai tempi della rivoluzione khomeinista, che ha già lasciato a terra cadaveri almeno un centinaio di manifestanti; e i secondi che temono il fronte delle opposizioni, al punto che 12 attivisti sono appena stati condannati a pene severissime, con il leader del gruppo Nikolaj Avtukhovich che ha ricevuto addirittura 25 anni per «terrorismo».

Fare la guerra per distrarre l’opinione pubblica non sembra, dunque, una ricetta minimamente idonea per risolvere problemi ormai profondamente radicati nelle rispettive società, che chiedono parimenti maggiori diritti e più libertà civili. Per Teheran, inoltre, è in ballo il cruciale negoziato per rilanciare l’accordo nucleare siglato nel 2015 e attualmente in fase di stallo: dal buon esito della trattativa dipendono infatti l’abolizione delle pesantissime sanzioni economiche e, di conseguenza, la tenuta economica del Paese. Ma proprio l’azzardo dell’invio di droni in Ucraina potrebbe rappresentare il de profundis per l’intesa nucleare iraniana, oltretutto boicottata con forza da Israele.

E certo lo stigma dei «droni kamikaze» è forte e riporta alla mente quel 23 ottobre 1983, quando a Beirut per la prima volta in Medio Oriente fecero la loro comparsa gli attentatori suicidi. Una tecnica che non è più scomparsa e che ha lasciato una scia di sangue tanto nel Levante quanto in America e in Europa. E che non è meno odiosa della minaccia della bomba atomica. Ragion per cui la mossa di Mosca di usufruire dei servigi iraniani potrebbe rivelarsi presto un boomerang.

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