La Nato d’Europa è da ripensare

A conclusione del suo giro nei paesi del confine orientale della Nato, il Segretario di Stato Usa Antony Blinken, passato da Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia, ha ovunque rassicurato i suoi alleati più nervosi sull’aiuto americano. Al suo arrivo in Estonia però le rassicurazioni non sono bastate: “Francamente la deterrenza non è più sufficiente e abbiamo bisogno di una difesa avanzata qui sul posto perché altrimenti sarà troppo tardi. Putin non si fermerà in Ucraina se non verrà bloccato”, gli ha detto il presidente estone Gitanas Nauseda, il quale parla per esperienza. Già nel 2007 Mosca aveva lanciato uno dei più grandi attacchi informatici proprio contro l’Estonia, paralizzando Internet come rappresaglia per aver osato spostare una statua di un soldato sovietico dal centro della capitale. Nel 2008 le forze russe avevano invaso la Georgia e occupato due repubbliche “separate” perché la nazione aveva espresso l’intenzione di aderire alla Nato. Quando l’Ucraina si è politicamente orientata verso ovest, era il 2014, la Russia ha annesso con la forza la Crimea e ha favorito i separatisti nel Donbass. Più recentemente Mosca ha contribuito a sedare le rivolte democratiche e a sostenere il governo bielorusso a lei caro, mentre nel 2020 e in Kazakistan lo ha fatto all’inizio di quest’anno. E siccome l’Ucraina ha ben poche possibilità di uscire da questa guerra e continuare la sua marcia verso Ovest approfittando proprio della Nato pur rimanendo in un’orbita russa, è anche sempre più chiaro che i leader alleati, per anni, hanno firmato cambiali per ottenere l’espansione dell’Alleanza atlantica verso est anche se le sue capacità di difesa sono state in costante diminuzione. Vladimir Putin si era accorto proprio di questo e se ha lanciato l’invasione di un altro paese che confina con la Nato deve aver percepito che avrebbe potuto farlo, soprattutto analizzando tutti i segnali che stanno erodendo la deterrenza degli alleati, dai litigi franco-tedeschi sulla politica di esportazione delle armi fino alle proteste per la presenza delle bombe nucleari in Italia, alla costante riduzione delle forze statunitensi in Europa avvenuta fino a questa crisi e al calo della prontezza e delle capacità militari europee. Ricorderemo la “morte cerebrale” della Nato pronunciata da Macron, le critiche di Donald Trump all’Alleanza per l’inadeguata condivisione degli oneri e la caotica ritirata militare dell’amministrazione Biden dall’Afghanistan. Tutti segnali di debolezza.

Al culmine della Guerra fredda gli Usa mantenevano circa 400.000 soldati in Europa, distribuiti principalmente in Germania, Regno Unito e Italia. Nel 2021 quel numero era sceso a meno di 60.000. Il Pentagono ha ritirato il quartier generale di Usaf e U.s. Army che avevano sede nel Vecchio continente e nel 2013 l’esercito Usa ha portato a casa le sue ultime unità corazzate.

Ne consegue che oggi è tornata a mostrarsi la necessitò di una forte presenza militare statunitense in Europa e soprattutto di attente dichiarazioni politiche sul valore dell’Alleanza per rafforzarne il deterrente. Ma non di boutade possibiliste come quelle del segretario Nato Jens Stoltenberg per l’ingresso dell’Ucraina tra gli alleati. Anche perché, al contrario, Putin tenta sempre di ristabilire la sfera di influenza russa anche nei Paesi baltici, e non credere a questa politica ha portato a sottovalutarlo. Oggi dopo l’invasione dell’Ucraina la Nato ha formato quattro gruppi tattici multinazionali delle dimensioni di un battaglione (circa 1.000 soldati) guidati da Regno Unito, Canada, Germania e Stati Uniti, e li ha schierati a rotazione in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. Al vertice dell’Alleanza tenutosi in Galles nel 2014 gli alleati avevano anche deciso di destinare il 2% del prodotto interno lordo alla difesa entro il 2024, un obiettivo che solo tre nazioni all’epoca avevano raggiunto. Nel 2021 soltanto dieci dei trenta stati membri hanno raggiunto o superato questa cifra, con una media per i membri europei e il Canada all’1,7% contro il 3,7% degli Stati Uniti. E siccome oltre ad aviazione, marina ed esercito oggi ci sono anche le difese di spazio e ciberspazio – come ha giustamente ricordato il nostro ministro della Difesa Lorenzo Guerini domenica scorsa a Che tempo che fa, la spesa militare non può calare o non ci sarebbero risorse per tutti.

Eppure negli anni successivi al 2014 era diventato sempre più evidente che la minaccia proveniente dalla Russia stava crescendo più velocemente di quanto l’alleanza si stesse evolvendo militarmente, nonostante l’aggiunta del Montenegro nel 2017 e della Macedonia del Nord nel 2019. E mentre Mosca per un decennio ha perseguito la modernizzazione militare delle sue forze nucleari, convenzionali e strategiche, acquisendo preziose esperienze di combattimento in Siria e Crimea, i pilastri europei della Nato, Germania e Gran Bretagna, hanno visto un costante declino delle loro capacità militari. Un esempio sono le carenze tedesche in fatto di carri armati (stanno finalmente costruendo il nuovo tipo) e le continue indecisioni su quali caccia comprare per sostituire i vecchi Tornado, poiché è soltanto della scorsa settimana (9 marzo), la quasi-decisione di acquisire gli F-35. Alla Luftwaffe mancano anche aerei da trasporto (nulla si sa dei nuovi Airbus 400M), la Marina tedesca ha sottomarini vecchi e secondo gli Usa nei ranghi di Berlino mancherebbero 21.000 ufficiali. Le forze armate britanniche, un tempo sparse per il mondo, a causa dei tagli al budget della difesa, nel 2021 furono ridotte a 72.500 soldati e solo sette brigate di combattimento, la più piccola forza inglese da secoli. Il numero di carri armati è in riduzione da 227 a 148, la Raf perderà 24 jet Typhoon e la Royal Navy passerà da 19 fregate e cacciatorpediniere a 17. Quando la nuova portaerei Queen Elizabeth ha compiuto il suo viaggio inaugurale, per riempire il ponte di volo sono stati necessari gli F-35 del Corpo dei Marines degli Stati Uniti.

In generale dunque pare evidente che in seno alla Nato sia da oggi (ieri) necessario un cambio di mentalità per mantenere le forze militari in uno stato di maggiore prontezza.

“Dobbiamo ridefinire la prontezza delle nostre forze militari, perché collettivamente le forze Nato non sono pronte”, ha affermato Ben Hodges, ex comandante dell’esercito americano in Europa e attualmente professore di studi strategici presso il Center for European Policy Analysis alla testata Defence News, spiegando: “La Germania ha tre divisioni, ma non sono pronte a combattere. L’esercito britannico oggi è troppo piccolo. Le esercitazioni sono fin troppo programmate in anticipo e pongono troppa enfasi su una comunicazione mediatica politicamente corretta piuttosto che adottare il rigore necessario. L’Ue ha ancora molto lavoro da fare per dare priorità al movimento delle forze militari nell’Unione in modo da poterle spostare in modo efficiente. Tutto ciò è difficile e costoso, ma se non metti in pratica queste abilità e non dimostri quelle capacità, per l’avversario sarà un vantaggio”.

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