La nuova Champions League, un compromesso al ribasso

La riforma della Champions League partorita dalla UEFA con il plauso dei club, delle leghe e delle federazioni – dopo mesi di confronto aspro – disegna il futuro del calcio europeo e la base sulla quale trattare con la Fifa i nuovi calendari internazionali a partire dal 2024. Senza più l’idea del Mondiale biennale, non sopravvissuta al fuoco incrociato degli oppositori, ma con la necessità comunque di mettere mano all’affollamento eccessivo di queste ultime stagioni.

Che si voglia chiamare Super Champions League o solo Champions allargata, rischia di essere un dettaglio stilistico. La realtà è che l’accordo sancito a Vienna con ampia soddisfazione del presidente della UEFA Ceferin è un compromesso al ribasso, ben lontano dal rispondere alle urgenze emerse con violenza un anno fa nei giorni della nascita e della fine della Superlega. Una sorta di restaurazione conservativa in cui hanno pesato i nuovi equilibri politici dentro la UEFA e nell’ECA (l’associazione dei club) in cui oggi comanda lo sceicco Al-Khelaifi e l’asse con Ceferin è più che mai forte.

In attesa del verdetto della Corte europea, dove si discute di un tema molto più ampio rispetto alla sola liceità della Superlega e dove in gioco ci sono ruolo e confini della UEFA, la riforma della Champions League spiega l’incapacità dei vertici europei di dare continuità ai passi avanti annunciati.

Il numero di partite garantite è salito da 6 a 8, meno delle 10 promesse un anno fa e che già rappresentavano un tentativo di tenere legati i grandi club. La distribuzione dei posti in più appare, invece, l’ennesima concessione alla Premier League e alla potenza inglese che è stata la prima alleata di Ceferin nel far naufragare la Superlega. In sintesi, dal 2024 le due wild card per chi non si è qualificato verranno assegnate alle due nazioni che meglio hanno fatto in Europa nella stagione precedente: non è complicato capire che si tratta di un via libera di fatto alla qualificazione di 5 inglesi in forma quasi stabile. Così là Premier League risolve un suo problema interno e guadagna altro denaro e, quindi, altro vantaggio competitivo in una spirale ben poco virtuosa.

L’Italia rimane ai margini in questa fase di riforma. Uscito Agnelli dalle stanze del potere, siamo diventati periferici come prima dell’era Tavecchio e dell’ultima riforma che, invece, era stata molto favorevole alla Serie A. Siamo all’angolo e non è una posizione comoda: tocca al presidente della FIGC, Gabriele Gravina, aiutare tutto il movimento a recuperare la centralità perduta e la sfida per l’Europeo del 2032 diventa la sfida cruciale per tutto il sistema calcio.

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