La prima donna laureata al mondo ha studiato a Padova

Il 25 giugno 1678, nell’università di Padova, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia veniva nominata magistra philosophiae, dottoressa in Filosofia, prima donna laureata al mondo.

La vita di Elena assomiglia, a tratti, a una favola moderna, dove la parte dei “buoni” è rappresentata dalle figure maschili (diverse figure maschili) della sua vita: uomini che hanno saputo guardare al di là del proprio tempo, sfidando le convenzioni della società (e di altri uomini), riuscendo a consegnare la giusta luce a una donna intrappolata in un mondo dove la condizione femminile era ancora misera, senza possibilità di accedere all’asse ereditario e, se illegittima, destinata al velo; soprattutto in un mondo in cui l’intelligenza muliebre veniva ancora percepita con sospetto e fastidio.

Indubbiamente, il primo uomo nella vita di Elena a infrangere bellamente la quasi totalità delle regole della Serenissima fu suo padre Giovanni Battista, Procuratore di San Marco, vivendo more uxorio con Zanetta, una donna di umili origini, il suo primo e grande amore.

Per le leggi della Serenissima, se un patrizio non sposava una donna della propria classe, i discendenti non potevano accedere al patrimonio di famiglia, d’altra parte, non sposandosi, i figli risultavano illegittimi.

Giovanni Battista, non aveva nessuna intenzione di tenere nascosta (come spessissimo accadeva) la relazione con la donna che amava profondamente dall’età di sedici anni, con cui ebbe sette figli, e per tantissimo tempo si adoperò per far conciliare amore e leggi della Repubblica.

Certo, l’essere il Procuratore di San Marco, e soprattutto il provenire da una famiglia ricchissima, giocò un ruolo fondamentale per poter finalmente, dopo anni di inutili tentativi, riuscire a iscrivere i suoi figli, soprattutto la sua prediletta Elena, nel libro d’oro dell’aristocrazia veneziana.

Accanito sostenitore della libertà, Giovanni Battista possedeva una delle più belle e fornite biblioteche di tutta la Serenissima, quella stessa biblioteca, che anni prima, ai tempi di suo nonno Giacomo Alvise, era frequentata da Torquato Tasso e Galileo Galilei. Si può dire, quindi, che nelle vene di Elena Lucrezia, scorresse lo stesso amore per il sapere e la stessa vocazione intellettuale del nonno e del padre; padre che la incoraggiò con orgoglio a coltivare i suoi studi, con il supporto del parroco e teologo Giovanni Battista Fabris (altro uomo fondamentale nella vita di Elena, di cui ne aveva già intuito le doti). Nel tempo, grazie alle conoscenze del padre, Elena poté contare su maestri eccezionali, apprendendo discipline classiche, medicina, matematica, musica (dall’organista Maddalena Cappelli, sua unica amica e confidente), imparando a parlare perfettamente latino, spagnolo, francese, aramaico, ebraico e arabo.

L’arabo.

Di Elena Lucrezia, si legge che avesse una forte vocazione religiosa; in realtà, pur avendo una profonda devozione, la sua decisione di consacrarsi alla verginità già all’età di undici anni, nasceva da una sorta di astrazione dal corpo, a favore della spiritualità, una spiritualità fatta di sapere, e conoscenza. Lo scopo della sua vita era quello di apprendere e comprendere, voleva essere una creatura quasi intangibile, qualificata solo dal proprio intelletto. Una scelta di castità che aveva il sapore di una conquista, una via di fuga da una condizione di donna che non la rappresentava, e che la visione del parto doloroso e lacerante di sua madre Zanetta, non aveva fatto altro che consolidare.

Certezze precipitate, qualche anno più tardi, dopo l’incontro con l’uomo che resterà l’unico amore della sua vita, un amore che, seppur corrisposto, rimarrà platonico e puro. ‘Umar Ibn al-Fàrid: ecco il nome dell’uomo che avrebbe fatto scoprire a Elena un aspetto della vita che lei stessa pensava non l’avrebbe mai sfiorata. Lui, uno studioso arabo che le insegnò la propria lingua, con cui si era creata una confidenza intima, un’intensa armonia tra cuore e mente, un sentimento talmente forte che dopo il loro addio, Elena non sarebbe stata capace di pensare a nessun altro uomo al proprio fianco.

Una notte, otto anni prima, aveva promesso la propria verginità; una mattinata d’inverno, a diciannove anni, Elena riconfermava la propria scelta diventando oblata benedettina, pronta per diventare la donna erudita e sapiente che voleva essere e che aveva promesso al moro.

Da allora, Elena approfondì la filosofia con l’eccelso professor Carlo Rinaldini e la teologia con padre Felice Rotondi (anch’egli docente all’Università di Padova). E grazie all’insistenza, alla diplomazia e al coraggio di questi tenaci personaggi, il 25 giugno 1678 nell’ateneo patavino (dopo che le si rifiutò quella in teologia perché donna), Elena Lucrezia conquistò, a pieno titolo e “con sommo plauso degli uditori”, la laurea in Filosofia.

Riceveva in dono un libro, simbolo della dottrina, un mantello di ermellino per avvalorarne la dignità dottorale, una corona d’alloro come immagine di trionfo, e un anello per identificare il legame con il sapere; quel sapere e quella conoscenza a cui Elena aveva dedicato tutta la vita. Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, era diventata una donna fiera e consapevole del proprio valore (orgoglio che sarebbe giustamente cresciuto, nel sapere che qualche secolo più tardi un cratere di Venere avrebbe portato il suo nome), ma soprattutto, quel giorno, venivano finalmente riconosciute a una donna, qualità e intelligenza al pari di un uomo.

Nella settimana della Giornata internazionale della donna, è bello raccontare una storia vera in cui, a far primeggiare una di loro, caparbia e capace, sono state delle figure maschili, perché, dobbiamo ribadirlo, se è verissimo che Elena era sicuramente un talento assolutamente raro, con una voracità e maestria di apprendimento fuori dall’ordinario, è altrettanto vero, e dobbiamo riconoscerlo, che non avrebbe mai potuto conseguire quel risultato senza l’aiuto degli uomini (altrettanto tenaci e straordinari) che hanno costellato la sua vita.

Leggi su panorama.it