La resistenza al regime di Teheran della pensionata Mahin

Che alla fine quasi sicuramente
saranno le donne e la loro rivolta non violenta a mettere in
discussione il sistema teocratico iraniano sembra ormai cosa
certa o almeno è quello che mostra la cronaca. Nel caso de ‘Il
giardino persiano’ di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, film
minimalista ma pieno di poesia, si tratta di una ‘piccola
resistenza femminile’ al regime da parte di Mahin, vitalissima
ex infermiera in pensione sovrappeso e con due figli grandi
all’estero.
    A un certo punto la donna decide di voler amare un’ultima
volta prima che sia troppo tardi.
    Così un pomeriggio come tanti, in questo film dolce-amaro in
sala dal 23 gennaio con Academy Two, dopo un pranzo con le
amiche in cui si sognano improbabili avventure sentimentali e si
ricordano i bei tempi pre-rivoluzione, Mahin, una donna che ha
anche la colpa di vivere sola a Teheran, decide finalmente di
rompere la sua routine.
    Lei che in genere passa le sue giornate a cucinare e a vedere
film romantici in televisione, a un certo punto si trucca
goffamente e si ritrova nel ristorante dell’hotel Libertà in
cerca di compagnia. Qui conosce Faramanz, mite conducente di
taxi vedovo, che con qualche impaccio, ma non troppo, invita
subito a casa sua.
    Una serata indimenticabile per i due, un modo di tornare
giovani trasgredendo ogni regola, così si beve vino, si balla e
il desiderio, almeno per una notte, ha la meglio sulle regole di
vita del regime iraniano.
   

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