La ritirata russa da Kherson è una grande vittoria di Kiev ma il difficile (sul campo) arriva adesso

Da settimane si parlava di un possibile ritiro delle truppe russe da Kherson e la cosa è puntualmente avvenuta ieri con la conferenza stampa dei due comandanti, il ministro Sergej Šojgu e il generale Sergej Surovikin, che hanno annunciato l’inevitabile decisione motivandola con queste parole: «La cosa più importante è preservare la vita dei nostri soldati», una frase che dice che oggi gli ucraini sono meglio armati, meglio organizzati e combattono sulle ali dell’entusiasmo dopo i continui rovesci dell’esercito russo che al netto della propaganda ha mostrato fino ad oggi di essere una sorta di elefante dai piedi d’argilla. Ma quali sono stati i fatti che hanno portato i russi a decidere di lasciare Kherson che era stata annessa alla Russia solo poche settimane fa?

Secondo il Generale di Corpo d’Armata Maurizio Boni «Kherson è caduta perché era ormai isolata, e per i russi non era più possibile mantenere le proprie posizioni e proseguire sulla riva orientale del fiume Dnipro. Hanno speso la pressoché totalità delle forze terrestri disponibili nel settore e per loro è molto più vantaggioso aspettare gli ucraini sulla riva occidentale del Dnipro. Mosca ha bisogno di tempo (molto tempo) per ricostituire una capacità operativa credibile e necessaria per poter considerare nuovamente l’ipotesi di tornare all’offensiva e la postura difensiva assicura ai russi il tempo necessario per riorganizzarsi. Lo stesso discorso vale anche in Ucraina orientale dove l’ostinazione russa di puntare su Bakhmut deve essere letta come il tentativo di guadagnare posizioni più favorevoli per realizzare le linee difensive che il gruppo Wagner ha già cominciato a costruire».

E gli ucraini ora che faranno?

«La caduta di Kherson è un episodio importante e altamente simbolico, ma non è la svolta decisiva della guerra. Kiev non può concedere eccessive pause ai russi perché per mantenere l’iniziativa deve mantenere elevato l’operation al tempo, cioè il ritmo della controffensiva. Tuttavia, anche gli ucraini hanno speso molte risorse e con quelle che rimangono superare le linee difensive russe sarà molto difficile. Il superamento del Dnipro a sud, che apre le porte di accesso alla Crimea, vedrà le forze di Kiev affrontare, a parti invertite, una delle più difficili operazioni belliche che i russi hanno già compiuto a proprie spese: l’attraversamento di un fiume sotto il fuoco nemico. Senza contare che la stessa città di Kherson dovrà essere ripulita di tutti gli ordigni e trappole esplosive che i russi hanno certamente lasciato dietro di loro. In Donbass, la situazione non sarà certamente più favorevole. In ogni caso, i nuovi rapporti di forza tra attaccanti e difensori e le loro rispettive capacità detteranno il nuovo corso delle operazioni».

Intanto il Cremlino non ha ancora commentato il ritiro da Kherson e ha lasciato ai militari tutta l’onta della sconfitta militare che sui social e sui canali Telegram dei blogger russi in queste ore viene commentata con toni durissimi. L’unica che ha preso la parole in queste ore è stata la portavoce degli Esteri Maria Zakharova che ha fatto intendere che ci sarebbero gli spazi per una trattativa di pace: «Non abbiamo mai rifiutato di condurre negoziati con Kiev e siamo ancora pronti, tenendo in considerazione la realtà emergente».

A Kiev però nessuno ritiene che ci possano essere le condizioni per sedersi a discutere con i russi anche perché a giusta ragione, gli ucraini prima di qualsiasi discussione preliminare vogliono la completa liberazione dei territori occupati. Il silenzio di Vladimir Putin come detto è molto eloquente e non c’è dubbio che per la volta dall’inizio del conflitto la potente macchina della propaganda faccia molta fatica a trovare una nuova narrazione da proporre al popolo russo. Nei mesi predenti l’invasione il presidente russo ha concentrato la sua ira sulla NATO e ha cercato di incolpare le crescenti tensioni intorno all’Ucraina sull’espansione dell’alleanza militare dopo la Guerra Fredda. Poi quando le sue truppe hanno attraversato il confine il 24 febbraio, Putin ha cambiato rotta e ha dichiarato «una crociata contro i nazisti ucraini». Poi recentemente, ha cercato di descrivere l’Ucraina come uno «Stato terrorista» insistendo sul fatto che «la Russia sta effettivamente combattendo contro il satanismo». Con il ritiro da Kherson sono tornate a farsi sentire quelle voci che vorrebbero che gli ucraini rinunciassero ai loro territori in modo da iniziare delle trattative di pace (anche se nessuno spiega in che modo e con chi tutto questo dovrebbe avvenire), dimenticandosi che è l’invasore che dovrebbe ritirarsi da tutti i territori occupati e annessi con la forza delle armi. Meglio sarebbe che costoro invece di ascoltare le bugie di Vladimir Putin e del suo cerchio magico -ancora parlano di nazisti fantasma oppure di adoratori del diavolo- chiarissero al Cremlino che l’imperialismo russo non ha posto nel mondo moderno. La natura sempre più assurda delle affermazioni di Putin come scrive Peter Dickinson redattore dell’Ukraine Alert del Consiglio Atlantico: «È un’indicazione della sua crescente disperazione, ma deve ancora abbandonare la conquista coloniale dell’Ucraina. A meno che non sia costretto a farlo, le ambizioni imperiali non ricostruite della Russia rimarranno una minaccia per la pace mondiale».

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