venerdì, 15 Novembre 2024
La Russia ha dieci giorni per “tagliare in due” l’Ucraina prima di perdere la credibilità
Dieci giorni per “tagliare in due” l’Ucraina prima di perdere la credibilità
Qualcosa è ormai cambiato nella strategia della “Operazione militare speciale” di Putin. A differenza di quanto avveniva negli attacchi di fine febbraio e marzo, che sembravano voler spingere gli ucraini a riconoscere l’impossibilità di resistere invogliandoli a dialogare, la “fase due” vede le truppe di Mosca superare di numero quelle di Kiev nell’intento di conquistare la supremazia in Donbass. Le azioni si concentrano nel colpire basi, depositi d’armi e di carburanti, nonché cercando di intercettare i rifornimenti di armi inviate dai Paesi della Nato e cercando di fare prigionieri gli istruttori occidentali che Mosca sa essere sul territorio ucraino. Se fossero catturati militari inglesi o comunque di Paesi nato, è evidente che l’imbarazzo occidentale sarebbe un’arma in più nelle mani di Putin. “Il senno di poi è l’unica scienza esatta” recita un motto americano, e infatti tra gli alleati si fa strada il riconoscimento del fatto che, nel 2014, la Nato era stata colta alla sprovvista dall’improvvisa campagna militare russa, quando le sue truppe entrarono in Ucraina annettendo illegalmente la Crimea. Rispetto ad allora, quanto sta accadendo oggi è invece un’evoluzione della guerra dal breve al medio-lungo periodo.
Mosca ad oggi avrebbe perduto già 22.000 soldati sui 170.000 schierati e questi morti sarebbero circa il 20% di coloro che erano in servizio attivo al confine con l’Ucraina a fine febbraio. Tra le perdite di mezzi e dotazioni, secondo Kiev sarebbero stati distrutti 880 carri armati, 2.250 mezzi corazzati, 183 aerei, 157 elicotteri. I numeri diffusi arrivano anche a quantizzare i droni e le armi leggere, ma è ovviamente complesso considerarli precisi. Mosca ha invece ammesso 13.500 perdite e definito in modo inequivocabile quali siano le condizioni per poter rendere concreta una proposta di cessare il fuoco, chiedendo l’indipendenza del Donbass e delle regioni di Donetsk e Lugansk e l’annessione della Crimea. Quanto all’estensione della Nato, Kiev aveva già riconosciuto di non poter entrare a farne parte, pertanto le rassicurazioni dovranno d’ora in poi riguardare la quantità di armamenti presenti nel Paese. E posto che la Russia ben difficilmente rinuncerà al Donbass, il protrarsi dei combattimenti grazie al supporto europeo e americano alle forze ucraine non farà che aumentare le perdite umane e la distruzione dell’Ucraina.
Le forze russe hanno finora mostrato i loro limiti sia dal punto di vista dell’addestramento, sia della logistica come delle comunicazioni, perciò una eventuale estensione del conflitto verso ovest finirebbe per vederle in grave difficoltà nonostante che i paesi Nato europei negli ultimi due decenni abbiano visto ridursi le loro capacità militari, concentrando addestramento e dotazioni soltanto sui reparti che partecipavano alle missioni all’estero, dal Medioriente all’Africa.
Ecco allora farsi strada l’effetto “terrore” della deterrenza nucleare, finora sbandierata contro qualsiasi ingerenza diretta nel conflitto e per limitare quella indiretta. Mosca sa perfettamente che le forze di Zelensky sono costantemente aiutate non soltanto mediante la fornitura di armi, ma anche con continui servizi di intelligence, come ha dimostrato anche quanto accaduto all’incrociatore Moskva. Non a caso il segretario di Stato alla Difesa statunitense Lloyd Austin è recentemente stato molto chiaro con i giornalisti del Washington Post: “Vogliamo vedere la Russia tanto indebolita da non poter più fare le cose che ha fatto finora, invadendo l’Ucraina”.
Intanto la Nato corre a riarmarsi e a esercitarsi alla guerra, poiché anche nazioni con forze armate a forte vocazione offensiva come il Regno Unito si sono scoperte essere a corto d’artiglieria e di munizioni, il che significa che lotteranno per mantenere una posizione di difesa credibile nell’ipotesi che i russi decidessero di lanciare un’offensiva a tutto campo. Se i militari russi si sono rivelati poco addestrati sul campo, a ovest i tagli ai budget militari degli ultimi anni hanno limitato molto il numero di soldati che hanno ricevuto un addestramento operativo costante. Tanto che proprio i piloti della Raf (l’aviazione inglese), nonostante volino circa 200 ore l’anno, si sono lamentati delle ridotte possibilità di allenamento in scenari utili a sviluppare capacità di alto livello.
Tra le forze russe pare ci siano però anche problemi di credibilità degli ordini. Secondo analisti internazionali occidentali delle morti confermate da Mosca, oltre il 15% proviene dalle unità aeree d’élite russe. L’alto numero di perdite è stato anche accompagnato da segnalazioni di diserzioni, come ha riportato il quotidiano d’opposizione Pskovskaya Guberniya, scrivendo che circa 60 paracadutisti russi stanno affrontando un’azione disciplinare dopo aver rifiutato di agire dalla Bielorussia verso l’Ucraina, dove molti erano stati inviati per quelle che credevano fossero esercitazioni. Tali rapporti non sono ovviamente stati confermati dal ministero della Difesa di Mosca, ma i media russi hanno anche riferito di membri di due unità delle Guardie nazionali che si sono rifiutati di combattere in Ucraina e sono attualmente ricercati, ed anche di azioni legali accese dalle famiglie di soldati in addestramento iniziale che hanno chiesto aiuto per evitare che i giovani fossero inviati in Ucraina o, se già partiti, fossero sostituiti da professionisti. Le scarne comunicazioni che i soldati russi riescono a mantenere con le loro famiglie svelano minacce di provvedimenti penali, di confisca e annullamento dei documenti nonché di azioni ritorsive. Ciò che ora Mosca vuole però è anche altro: conquistare il pieno controllo del Donbass e dell’Ucraina meridionale per avere via libera verso la Crimea. Questo taglierebbe le vie e le infrastrutture principali ucraine, priverebbe il Paese dei porti sul Mar Nero, dove avvengono gran arte degli scambi commerciali. E una delle motivazioni per concentrare gli attacchi sul fronte sud è stato ribadito chiaramente una settimana fa dal generale Rustam Minnekayev, comandante ad interim del distretto militare centrale russo: “Serve una via per raggiungere la Transnistria per proteggere la popolazione di lingua russa da atti di oppressione”. Ma è chiaro che questo significa anche che nel mirino dei russi resta anche la conquista di Odessa.
Che cosa accadrà alla parata del 9 maggio a Mosca è presto per dirlo, ma è ormai probabile che la strategia americana di favorire l’allungamento della guerra per indebolire al massimo le forze russe risulterà vincente, alimentata dall’impossibilità di Putin di fermarsi ora, ovvero senza aver almeno raggiunto uno degli scopi che si era prefissato, ovvero il controllo del Donbass.
Mosca ha ormai meno di dieci giorni per conquistare e rivendicare una vittoria militare che vada oltre la caduta di Mariupol e il controllo del Mare d’Azov, dove l’Ucraina avrebbe potuto far arrivare le navi di eventuali alleati. Una strategia che vede negli aiuti Nato il maggior problema.