La sanità in Italia è malata e senza risorse per curarla

La sanità in Italia è malata e senza risorse per curarla. È questo il quadro post pandemico che è sotto gli occhi di tutti. I soldi del Pnrr serviranno solo per le infrastrutture e per scatole vuote come le case di comunità che sono servite per ottenere i fondi dall’Europa, mentre nel fondo sanitario non sono state messe risorse e il tetto di spesa del personale non è stato aumentato.

Il risultato è una carenza di circa 60.000 unità tra comparto e dirigenza, che costringe gli ospedali pubblici a tirare a campare con i medici a gettone che per un solo turno guadagnano anche 1.000 euro, quando lo stipendio mensile medio di un medico ospedaliero è di circa 1.600 euro.

Una gestione paradossale che spende soldi a pioggia per i medici a ore delle cooperative private, ma non investe nel personale della sanità pubblica costretto a turni doppi e stretto da due anni nella morsa del Covid.

Una tendenza nazionale quella di togliere al servizio pubblico che irrimediabilmente ha favorito il privato ed ha portato in 10 anni a definanziare di 37 miliardi la sanità. Tagli ovunque che hanno causato disservizi costringendo l’11% degli italiani (dati istat) a non curarsi. Una percentuale che ci dà la misura di cosa sia diventato il servizio sanitario italiano.

Nonostante ciò per il momento non si prevedono nuove assunzioni, ne di stabilizzare molti precari come i ricercatori degli IRCCS della sanità pubblica che sono eccellenze del Paese. Anzi un’ipotesi che si fa largo per risolvere il problema è di chiudere ancora altri piccoli ospedali ricavando così personale sanitario per i grandi, insieme a quella di aumentare (come già sta succedendo) il massimale degli assistiti dei medici di medicina generale, in modo che le visite durino ancora meno.

Nel frattempo finito il governo è iniziato lo scaricabarile tra Stato e Regioni sulle responsabilità, che viene sfumato dai vari rappresentanti di categoria in vista delle prossime elezioni e le risorse nel Def dei prossimi anni saranno addirittura inferiori a quelle di prima della pandemia.

«Noi siamo fortemente preoccupati rispetto lo scenario politico che si è aperto. Ci troviamo in una situazione in cui il personale è stremato dopo due anni di pandemia e oltre 10 anni di tagli al fondo sanitario nazionale (37 miliardi), che hanno determinato un calo enorme del personale portando a una privatizzazione della sanità» commenta Daniela Barbaresi della segreteria nazionale CGIL.

Questo cosa ha comportato?

«Ad esempio abbiamo i cosiddetti medici gettonisti, se ne stimano 15.000 messi a disposizione dalle cooperative e dalle agenzie che costano molto di più, perché vengono pagati dalle 800 alle 1.200 euro a turno e lavorano al fianco dei medici ospedalieri che sono due anni che non possono nemmeno andare in ferie per coprire i turni».

Come vive il personale sanitario questa crisi?

«Il personale è fortemente sotto pressione, perché c’è una situazione di carenza di personale e di copertura dei turni. Il mese scorso il governo ha emanato il decreto 77 dove ha definito una delle riforme del Pnrr con i criteri standard per la medicina territoriale. Ma se da una parte è stato fatto un investimento molto forte nelle case della salute, dall’altra c’è il rischio che rimaranno vuote anche perché 20.000 infermieri di comunità dove li prendiamo? Lo stesso vale per tutte le altre figure professionali che dovrebbero animare l’assistenza territoriale. Per questo noi diciamo che servono risorse aggiuntive e con le elezioni tra due mesi diventa tutto più complicato. Con il Covid è stata aumentata la spesa sanitaria però sono risorse non stabili. Inoltre nel Def vediamo che i fondi sono destinati nei prossimi anni a diminuire. Infatti nel 2025 la spesa della sanità pubblica arriverà a toccare il 6,2% una cifra addirittura inferiore a quella pre-pandemia. Un altro dato Istat su cui ragionare è che l’11% della popolazione rinuncia a curarsi e questo è un problema enorme. La popolazione rinuncia per ragioni economiche o perché non trova una risposta adeguata e questo genera diseguaglianza».

Per sopperire alla carenza di personale si parla di chiudere i piccoli ospedali e aumentare come già stanno facendo il massimale degli assistiti dei medici di medicina generale, cosa ne pensa?

«Sì, lo so e posso dirle sui medici di medicina generale che per noi vanno inseriti nel sistema pubblico per garantire un rapporto di lavoro dipendente, almeno i nuovi, perché abbiamo bisogno di dare vita alla case della salute e agli ospedali di comunità, altrimenti saranno delle belle insegne fuori la porta degli edifici e nient’altro».

Cosa si può fare per salvare la sanità?

«La pandemia ci ha dimostrato quale risorsa sia stato il servizio pubblico sanitario, perché se non ci fosse stata abnegazione e senso di responsabilità noi non saremmo qui. Se l’Italia vuole salvare la sanità deve fare due operazionI: la prima è aumentare le risorse del fondo sanitario nazionale per rispondere ai bisogni e alle carenze; la seconda è aumentare il tetto della spesa sul personale perché se non si supera questo ostacolo, non possono esserci le condizioni per le assunzioni e la valorizzazione del personale».

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