La satira è sacrosanta e libera. L’insulto no

E’ satira? Non è satira? Quand’è che la satira diventa insulto, volgarità, attacco politico ripugnante? Torniamo a chiedercelo tutti, stamattina, in occasione della pubblicazione della vignetta sul “Fatto Quotidiano”, che ritrae la sorella di Giorgia Meloni a letto con un uomo di colore, in riferimento alla frase del Ministro Lollobrigida (cognato della premier) sulla “sostituzione etnica”. Vignetta che ha scatenato le ire di Giorgia Meloni: “Mia sorella sbattuta in prima pagina con allusioni indegne”.

Prima considerazione: la satira per sua natura dà fastidio, è scomoda, è la democrazia che, mordendosi la coda, dimostra la sua forza. Ma occorre ricordarsi che, come per tutte le attività artistiche, ci sono diversi gradi di qualità. C’è la satira ridanciana, quella sarcastica, quella imperniata sullo humor nero. E poi c’è la satira che non fa ridere perché è semplicemente brutta. Brutta, malriuscita, indegna di essere pubblicata su un giornale nazionale, e in definitiva espressione di un autore privo di talento, che forse cerca solo pubblicità e dovrebbe semplicemente cambiare mestiere. E’ per l’appunto il caso in questione.

Nessuno vuole censurare, sarebbe sbagliato. E però nello stesso tempo nessuno può considerarsi immune alle critiche per aver disegnato una schifezza. Nessuno può essere così arrogante da pensare che quel disegno abbia la stessa dignità delle opere di Guareschi, perché non è così. Non mi azzardo a dire che si tratta di un attacco politico, come sostiene il presidente del Consiglio: certo è che quando nel mirino finisce un esponente di destra, è come la satira, anche quella più bestiale, acquisisse una “licenza di uccidere”, che peraltro si estende anche ai parenti.

E qui arriviamo alla seconda considerazione. Dovremmo farla finita con il doppiopesismo artistico. Non è accettabile che una (pessima) caricatura di Elly Schlein col nasone sia considerata un volgare attacco sessista, mentre una vignetta orrida sulla sorella di Giorgia Meloni (precisiamo: la sorella, che non è esattamente un personaggio pubblico) debba passare sotto silenzio. E’ l’ennesima dimostrazione di un certo femminismo a corrente alternata che in realtà nuoce un po’ a tutte le donne, di qualsiasi estrazione politica. Pensare che la satira sia accettabile solo quando attacca il nemico politico, questa sì, è un’operazione di basso cabotaggio, un comportamento truffaldino che strumentalizza la libera espressione per biechi fini di bottega. Per questo ci si aspetta che, una volta passato il segno, qualcuno si alzi e dica: ragazzi, ricomponiamoci. Va bene l’agone politico, ma almeno i parenti lasciamoli pace. A prescindere dalla collocazione politica.

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