giovedì, 20 Febbraio 2025
La signora Harris va a Parigi piacerà alle vostre nonne ma pure a voi, la recensione
Alla Festa del Cinema di Roma arriva un film d’altri tempi, una commedia agrodolce, british in modo incontrovertibile e piena di tutti quei sogni che tutti da sempre amiamo avere sul grande schermo. O almeno era così fino a qualche decennio fa, oggi il cinema è cambiato.
La signora Harris va a Parigi è un piccolo cioccolatino di film, una graziosa favola tra Inghilterra e Francia, che mira a farci commuovere, stupire, sorridere ma anche riflettere, pur senza mirare ad essere un capolavoro, raggiunge la sufficienza e anche qualcosina di più, soprattutto considerando il pubblico per cui è studiato.
Con un cast ben assortito, bellissimo visivamente e un’atmosfera vintage ma con gusto, è la perfetta narrazione per chi vuole uscire dalla sala con il cuore più caldo di come ci è entrato, ma senza troppo stress emotivo.
Una vedova a spasso per Parigi
Per Ada Harris (Lesley Menvill) la vita appare alquanto ripetitiva e spesso anche non molto gratificante, per quanto lei ce la metta tutta per non buttarsi giù, animata da un profondo ottimismo e speranza.
Lavora come donna delle pulizie per diverse clienti tra l’altezzoso e il caotico, aspettando in un’Inghilterra di metà anni ’50 di avere in qualche modo notizia del marito, pilota della RAF dato per disperso durante il secondo conflitto mondiale.
A farle compagnia, solo la fedele amica Violet (Ellen Thomas) e l’addetto all’ippodromo Archie (Jason Isaacs), con cui se non altro non riesce a non farsi travolgere dalla noia e dalla ripetitività di giornate tutte uguali. Un bel giorno a casa di una sua cliente, viene folgorata da un abito di Christian Dior, che fa nascere in lei la volontà di cambiare almeno un pochino della sua vita.
Una serie di colpi di scena la porteranno nella capitale francese, con 500 sterline da spendere e un abito su misura da farsi fare, mentre attorno a lei ruota il variopinto mondo della moda francese, di Dior, della fauna umana che in perenne incertezza lo abita e di cosa separi la realtà dai sogni.
La signora Harris va a Parigi, diretto da Anthony Fabian e tratto dal romanzo di Paul Gallico, rimaneggiato a quattro mani da Fabian, Carroll Cartwright, Keith Thompson e Olivia Hetreed, è una squisita commedia di quelle che si fanno sempre meno, priva di ogni malignità, che pare per certi versi sbucata da una sorta di buco spazio-temporale cinematografico.
Di certo un film piacevole, con un umorismo british gradevole ma cortese, che strizza l’occhio alla settima arte da racconto popolare che fu, sposando tuttavia un punto di vista femminile molto moderno, che permette all’insieme di non essere troppo legato al pubblico più maturo.
Una metafora della volontà di ricominciare
La signora Harris va a Parigi infatti è una commedia ma non solo una commedia, in realtà è un film su come tornare a governare la propria vita, come riuscire a non farsi travolgere dalle avversità ma soprattutto prendere a due mani il coraggio di cambiare.
Lesley Menvill ci offre una prova d’attrice di squisita efficacia, fa della sua Ada una simpatica ex ragazzina piena di insicurezze ma anche sfrontata, sognatrice ma capace di essere pratica quando serve, soprattutto scevra da ogni autocompassione. Il segreto della riuscita di questo film, sta nel fatto che la sceneggiatura non faccia mai della sua protagonista un essere perfetto o privo di paure, di difetti, quanto piuttosto una persona che non ne rimane vittima, che sa come reagire, pur rimanendo goffa, maldestra e talvolta troppo audace. Il cast francese di contorno comprende nientemeno che sua maestà Isabelle Huppert, Lambert Wilson, Lucas Bravo e la portoghese Alba Baptista a chiudere il tutto, connettendo l’insieme alla commedia romantica, al melodramma, al road movie persino, per quanto poi a volte riaffiori un certo eccesso di zucchero dalla vicenda complessiva.
La signora Harris va a Parigi spesso pare proporre una Parigi fin troppo da rotocalco, rifiuti a parte, connessa all’immaginario cinematografico, gossipparo, televisivo e modaiolo, una città senza poveri, senza donne brutte o uomini che non siano elegantissimi e romantici. Ma va bene lo stesso.
Sì, perché tutto è funzionale a una sorta di fiaba, che come ogni fiaba che si rispetti in realtà ci parla di altro, della capacità di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, della possibilità di ricominciare la propria vita sempre e comunque, dell’età che è solo un numero.
Il tutto però con leggerezza, ironia, con la capacità di regalare grandi sorrisi e talvolta pure una leggera coltellata ai transalpini, a cui però non si riesce a voler male mai veramente neppure qui.
Un film come non se ne fanno più
La signora Harris va a Parigi rimane comunque un racconto molto british per toni, ritmo, per confezione e anche estetica, per quanto forse talvolta i pur bellissimi costumi di Jenny Beavan, le scenografie di Istvan Margit e Nóra Talmaier, siano fin troppo pulite, troppo auliche.
Permane tuttavia un sapore agrodolce con cui viene descritta quella mezza età che si apre verso l’anzianità, popolata di fantasmi, di silenzi e della necessità di non farsi travolgere dai tempi morti, dal passato. Può sembrare strano, ma tra tanta leggerezza e allegria, vi è comunque la morte, la fine della vita e delle occasioni che assedia il tutto, così come la certezza che in fondo la saggezza si guadagna solo soffrendo, solo con le delusioni che la vita ci dà.
Detto questo, il film di Fabian è uno di quelli che un tempo sarebbero stati interpretati da Angela Lansbury, per donarci una visione di ciò che ogni donna dovrebbe sempre cercare di essere: una creatura curiosa verso se stessa e gli altri, in grado di mettersi in gioco.
Alla fin fine per Ada l’arma con cui combattere la sua battaglia quotidiana è l’empatia, la mancanza di paura verso gli altri e l’esterno, l’infischiarsene delle etichette e delle tante trappole con cui la società cerca di metterci dentro certe categorie.
Non è un film che vincerà premi o farà chissà quanti incassi, non farà la storia del cinema, ma è comunque un film caldo, pieno di quel sentimentalismo che un pochino ci manca, quello di quando in sala si andava per credere come Ada nei sogni che possono realizzarsi.
Portateci vostra mamma o vostra nonna, vi sarà grata, e magari imparerete a prendervi meno sul serio, a guardare alla vita in modo diverso o addirittura a guardarla per la prima volta. A patto di poter avere anche voi un abito di Dior o un affascinante modella o un bel marchese parigino a tenervi compagnia. Altrimenti la cosa diventa abbastanza ardua senza un po’ di Francia in mezzo.
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