La sostenibilità è l’unica strada percorribile

Si sente tanto parlare di sostenibilità. Basta fare una veloce ricerca utilizzando le parole chiave «sostenibilità» e «moda» per essere rimandati alla roadmap definita dalla Camera Nazionale della Moda Italiana che definisce il rispetto del pianeta «uno dei pillar della strategia» del gruppo oltre che «valore fondante del sistema moda italiano».

Una scelta nobile quanto necessaria se davvero la moda vuole presentarsi come specchio dei cambiamenti della società. Secondo il report «Conscious Fashion 2021» di Lyst, nell’ultimo anno le ricerche per i capi che usano tinte vegetali sono aumentate del 131%, così come quelle per la «pelle vegana» (+178%). Le ricerche per «sneakers biodegradabili» sono invece aumentate del 348%, quelle di abbigliamento di seconda mano del 117% e il marchio Bode – che utilizza solo tessuti vintage o riciclati – ha visto una crescita di interesse del 278% rispetto all’anno precedente. Non solo, marchi che lavorano sulla base del pre-order come Telfar e House of Sunny sono stati premiati di consumatori e su TikTok l’hashtag #sustainablefashion ha quasi raggiunto due miliardi di visualizzazioni.

A fronte dei dati diffusi da Fashion For Good, secondo cui il consumo di abbigliamento è destinato a crescere del 65% entro il 2030, percorrere la strada della sostenibilità è l’unica scelta possibile per i grandi e piccoli nomi della moda.

Quanto però le scelte sostenibili delle Maison sono reali, e quante si fermano a claim pubblicitari senza nessuna base? Le notizie che abbiamo letto negli ultimi mesi sono tante, come la decisione di Hermès di produrre la sua Victoria Bag con una pelle a base di funghi, oppure le rinunce da parte di grandi nomi della moda di utilizzare pellicce o persino la lana d’angora (come dichiarato a dicembre da Giorgio Armani).

Mai come oggi il consumatore ha bisogno di certezze. Se acquistare moda è anche un modo per appartenere a una community, i più giovani sono particolarmente attenti a scegliere di quale gruppo vogliono fare parte. Ecco allora che arriva in soccorso la «World Sustainability Organization», Ong con base a Milano che certifica prodotti da agricoltura e allevamento sostenibile in tutto il mondo.

L’organizzazione ha recentemente lanciato un progetto dedicato alla moda sostenibile, impegnandosi a riconoscere le case di moda e i designer che hanno scelto di produrre nel rispetto dell’ambiente, per un’industria della moda sostenibile e che tuteli i lavoratori.

Panorama.it ha avuto l’occasione di confrontarsi con Paolo Bray, fondatore e direttore della WSO, a poche settimane della conclusione della Milano Fashion Week, durante la quale l’organizzazione ha aperto uno showroom etico e sostenibile dove nove brand . proveniente da quattro continenti e sei Paesi – hanno avuto l’occasione di esporre le loro ultime collezioni.

Come nasce la World Sustainability Organization?

Mi occupo di certificazioni da 30 anni e credo siano un ottimo strumento. Mi sono sempre occupato di certificare prodotti dell’agricoltura e di allevamento, ma ho anche seguito la certificazione per il tonno, solo per farle un esempio. Nel 2008 è nata così la certificazione «Friends of the Sea» e dieci anni più tardi abbiamo creato «Friends of the Earth», in cui rientra anche il nostro progetto di moda sostenibile.

Quali sono i requisiti necessari per diventare «Friends of the Earth»?

Abbiamo stilato quella che credo sia una lista soddisfacente di requisiti, partendo dalle mie conoscenze pregresse, dopotutto il 40% dei prodotti di moda nascono dall’agricoltura. Perché un’azienda o un designer ottenga il nostro eco—label è necessario che le materie prime di origine vegetale e animale utilizzate nel processo di trasformazione rispettino i nostri standard. Allo stesso modo, le fibre sintetiche devono essere completamente riciclate e atossiche, così come le tinture che devono essere studiate appositamente per ridurre al massimo l’impatto ambientale. Testiamo l’acqua utilizzata per le finalità produttive, in ingresso come in uscita, almeno una volta l’anno per accertarci non siano presenti residui. Abbiamo anche una serie di requisiti legati alle emissioni. L’azienda deve necessariamente aver definito gli obiettivi di riduzione e le strategie per il loro raggiungimento, e deve inoltre assicurarsi di non utilizzare sostanze ozono-distruttive.

I requisiti sono numerosi. Mi viene da chiederle se è davvero possibile per un’azienda rispettarli tutti.

Il discorso è decisamente più complesso di quanto siamo abituati a credere. Essere sostenibili e minimizzare l’impatto ambientale richiede un impegno serio e costante. Bisogna ad esempio guardare anche ai produttori, spronandoli a migliorare. La nostra certificazione non è impossibile da ottenere, ma certamente volevamo dare vita a un attestato che fosse il più completo possibile, ovvero che prendesse nota di ogni fase di vita del prodotto.

Quante aziende sono veramente sostenibili?

Anche questo è un argomento complesso. I consumatori sono sempre più attenti alla sostenibilità, ce lo racconta ogni sondaggio, ma non sono disposti a pagare un prezzo maggiorato per un prodotto green. Insomma, per il cliente finale la sostenibilità dovrebbe essere garantita e questo porta a tanti claim non certificati, sia nel tessile come nell’alimentare. Quello che noi proponiamo è una certificazione sicura, condotta da enti terzi specializzati.

La sostenibilità non è l’unica problematica che sembra legata all’universo moda…

Purtroppo no. Nella moda esistono numerose problematiche a livello etico e sociale. È per queso motivo che lo scorso anno abbiamo creato la «WSO Models Academy & Agency». L’obiettivo di questa agenzia è stato sin dal principio quello offrire una piattaforma in cui i modelli possano essere trattati equamente come persone e in conformità con le leggi nazionali sul lavoro e sull’equo compenso. Abbiamo da subito preso delle decisioni importanti, garantendo ai nostri modelli contratti trasparenti, pagamenti sicuri a 30 giorni (invece dei soliti 90) e offrendo gratuitamente supporto psicologico, assistenza legale e l’aiuto di un nutrizionista.

Durante la settimana della moda milanese, avete inaugurato uno showroom temporaneo. Avete in programma qualcosa di più permanente?

L’esperienza della Milano Fashion Week è stata ottima. Siamo riusciti a coinvolgere nove aziende e 15 modelli e abbiamo ricevuto feedback positivo dalla stampa così come dai buyer. Il nostro progetto è quello di aprire uno showroom in occasione del prossimo Salone del Mobile dove mettere in scena anche oggetti di design che rispettino i nostri criteri di sostenibilità.

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