La storia di Mortal Kombat – parte 1: figli di un Van Damme minore

Poco meno di trent’anni dopo, quella di Mortal Kombat è una delle saghe più celebri del mondo dei videogiochi, praticamente sinonimo di picchiaduro al pari dei nomi Street Fighter e Tekken. Una saga che, oltre a una quindicina di giochi diversi, ha prodotto film, serie TV, fumetti e merchandising di ogni tipo. E in attesa di vedere anche qui da noi il nuovo film live action, il Mortal Kombat diretto da Simon McQuoid (in arrivo in Italia a maggio), abbiamo pensato di ripercorrere la storia del franchise. A cominciare da dove tutto è nato, un gioco sviluppato da un piccolissimo team in soli dieci mesi, e incentrato su Jean-Claude Van Damme. Più o meno.

No, questo non è Van Damme (e neanche Johnny Cage) e quelli non sono cabinati di Mortal Kombat. Ma ci arriviamo…

JOHNNY CAGE VAN DAMME

Facciamo un passo indietro. Siamo nel 1991 e John Tobias, un ventenne di Chicago che ha studiato all’istituto d’arte e ha disegnato i fumetti degli Acchiappafantasmi (la serie The Real Ghostbusters, pubblicata da NOW Comics a partire dall’88), viene assunto da un’azienda che si occupa di videogiochi e ha sede proprio lì a Chicago, Midway Games. Tra le prime proposte di Tobias c’è un gioco d’azione a base di ninja, ma l’idea viene scartata. Visto che il mondo intero sembra essere impazzito per Street Fighter II di Capcom, si pensa invece a un gioco di combattimento uno contro uno.

Il genere dei picchiaduro versus sta conquistando rapidamente spazio vitale in bar e sale giochi, e Midway vuole partecipare alla festa. Tobias propone allora di adoperare una tecnologia di cui dispone Midway, per l’impiego di immagini digitalizzate, e riversare in questo gioco il suo amore per film come Grosso guaio a Chinatown di Carpenter, Senza esclusione di colpi (Bloodsport) e I 3 dell’Operazione Drago (Enter the Dragon). E siccome questo frullatone di kung fu, arti marziali e personaggi sboroni alla Jack Burton ha come fulcro, nei progetti di Tobias, una star dei film d’arti marziali chiamata “Michael Grimm”, Midway prova ad agganciarsi al più popolare degli action hero a base di calci volanti di quel periodo.

Ci sono varie versioni della storia raccontate dai protagonisti, non tutte collimanti, ma pare che a Midway sia stato proposto di realizzare il gioco di un nuovo film di Van Damme all’epoca ancora non arrivato in sala, I nuovi eroi (Universal Soldier). Venuto meno questo progetto, si è provato ad acquisire la licenza dello stesso Senza esclusione di colpi, ed è stata realizzata una breve demo in cui le immagini digitalizzate di Van Damme erano inserite in un’ambientazione digitale. Pure qui, però, non se n’è fatto nulla.

Tobias e il resto del team, composto da soli altri tre elementi – il programmatore Ed Boon, il grafico John Vogel e il sound designer Dan Forden – vanno allora avanti per la propria strada, creando una gamma di personaggi che attingono a quel tipo di immaginario e pellicole. Lo stesso Tobias racconterà più volte l’influenza esercitata sul progetto dal kung fu magico dei film di genere wuxia soprannaturale, come Zu Warriors from the Magic Mountain e altri lavori simili di Tsui Hark. Sì, gli stessi a cui aveva guardato già Carpenter per il suo Grosso guaio a Chinatown. Solo che alla fine Van Damme ce lo buttano dentro COMUNQUE, sotto mentite spoglie. Lo chiamano Johnny Cage (le iniziali sono le stesse: JC), lo rendono un adorabile sbruffone e, come colpo tradizionale, gli assegnano il pugno nelle parti basse con spaccata, pescandolo proprio da Bloodsport.

Mortal Kombat roster

SANGUE E KOPYRIGHT

Per differenziare il più possibile questo gioco, che prenderà il nome di Mortal Kombat con la K – come suggerito da un designer di flipper, Steve Ritchie, perché c’erano dei problemi a registrare il nome “Mortal Combat” con la C – dalla concorrenza rappresentata da Street Fighter II e dai suoi emuli, si punta innanzitutto sui personaggi digitalizzati. Gli sprite digitalizzati dei lottatori e delle varie loro movenze non sono così disegnati a mano, come avviene nei titoli rivali, ma frutto di una serie di scatti digitalizzati. E con un semplice cambio di colori, un singolo attore poteva dar vita a più personaggi. La letale rivalità tra Scorpion e Sub-Zero nasce perciò, prima di ogni altra cosa, da una faccenda puramente economica. Si odiano perché si doveva risparmiare tempo e soldi.

Uscito in sala giochi nell’ottobre del 1992, il primo Mortal Kombat includeva sette personaggi giocabili, più vari antagonisti, soltanto uno dei quali non interpretato da un attore (il mostro Goro, realizzato in stop motion). I fratelli Carlos e Daniel Pesina sono diventati così il dio del tuono Raiden e Johnny Cage, Ho-Sung Pak il monaco Shaolin Liu Kang (che avrebbe dovuto chiamarsi Minamoto Yoshitsune, come il comandante giapponese, ma era un nome troppo lungo…) e il villain Shang Tsung, Elizabeth Malecki l’agente delle forze speciali Sonya Blade, Richard Divizio il mercenario Kano. Dietro la mascherina di Scorpion, Sub-Zero e Reptile c’era sempre il già citato Daniel Pesina, uno stuntman esperto di arti marziali, già tra i ninja del Piede nel secondo film delle TurtlesDopo aver lavorato ai primi due Mortal Kombat, Pesina fa causa a Midway per l’utilizzo della sua immagine nelle versioni console del gioco, e poi viene ingaggiato per due cloni di MK mai usciti, Tattoo Assassins (vedi sotto) e Thea Realm Fighters. Ha partecipato anche alla campagna promozionale di un altro clone, Bloodstorm, da cui viene la foto con spaccata tra i due cabinati usata poco sopra.

Da Tartarughe Ninja II – Il segreto di Ooze veniva invece anche il collega Ho-Sung Pak, che aveva interpretato Raffaello nelle scene di combattimento del film. È apparso in seguito anche in Drunken Master 2, Alone in the Dark e vari altri piccoli ruoli.

Mortal Kombat

FATALITY AI DINOSAURI DI SPIELBERG

A rendere da subito estremamente popolare Mortal Kombat sono un sistema di combattimento immediato e, naturalmente, una violenza talmente esagerata da diventare quasi cartoon, sublimata dalle mosse finali chiamate Fatality, che permettevano di dare un truculento colpo di grazia all’avversario sconfitto. Magari non a tutti, ma a molti giocatori poco importa ai tempi del palette swap sfacciato e di un gameplay poco raffinato: strappare il cuore pulsante dal petto del nemico, fargli volare via la testa con un montante, bruciarlo o folgorarlo… tutto dava vita a una fiera dell’esagerazione, praticamente una puntata di Grattachecca & Fichetto dei Simpson mescolata con le arti marziali e il cinema di serie B (e C). Un mix irresistibile, per gli USA – e di conseguenza il pianeta – di inizio anni 90.

Il successo di Mortal Kombat sembra inarrestabile. Per dare un’idea delle sue dimensioni, nel ’93 il cabinato di Midway incassa più di 300 milioni di dollari, cioè all’incirca quanto totalizzato nel mercato domestico dal film Jurassic Park. Niente male, per un gioco realizzato essenzialmente da un team di quattro persone, in meno di dieci mesi di lavoro. E mentre milioni di giocatori aspettano spasmodicamente una versione per le macchine da gioco casalinghe – che arriverà di lì a poco e sarà accompagnata da un lancio pubblicitario senza precedenti, per il celebre “Mortal Monday,” il 13 settembre del 1993 – Midway tira fuori nel ’93 un secondo capitolo, Mortal Kombat II, che moltiplica le Fatality e le mosse finali e aggiunge nuovi personaggi, come Kitana, Mileena, Noob Saibot, Shao Kahn e Kung Lao.

mortal monday e mortal kombat II

LA GUERRA DEI CLONI E LA CONSACRAZIONE

Di pari passo con la popolarità del gioco crescono però anche le polemiche. Nessun giocatore si scandalizza all’epoca per le esagerazioni volute di Mortal Kombat e dei suoi seguiti, figlie come sono di un titolo estremamente ammiccante, come poteva esserlo un film con Freddy Krueger. Ma chi di giochi non ne sa niente, comincia a vederci un simbolo della deboscia giovanile, della cultura della violenza, eccetera eccetera. È la caccia alle streghe che nell’entertainment statunitense ha avuto come bersaglio, ciclicamente, praticamente tutti gli hobby giovanili. La politica si fa con tante cose, anche con un videogioco, se serve a farti sembrare un tutore della morale, dei costumi e dei sani valori di una volta: e Mortal Kombat e il suo boom scoppiano proprio nel bel mezzo di una polemica montante per l’eccessiva violenza dei videogame.

I senatori  Joe Lieberman e Herb Kohl portano allora la questione davanti al Congresso, e la cosa ha grossa rilevanza sulla stampa statunitense. Night Trap di SEGA, Doom e Mortal Kombat sono gli esempi additati, la punta dell’iceberg del pericolo rappresentato da questa generazione di giochi violenti. Proprio sotto la spinta delle polemiche, nasce nel ’94 l’Entertainment Software Ratings Board (ESRB), un organismo di autoregolamentazione dell’industria del videogioco che assegna a ogni titolo un rating in base ai suoi contenuti. Altri mercati faranno lo stesso, in seguito, con strutture simili (in Europa abbiamo il PEGI). Nel frattempo, i cloni di Mortal Kombat si moltiplicano come dei Gremlins lanciati in una piscina: nel volgere di pochi anni, spuntano titoli fatti di codice e carta carbone come Kasumi Ninja, Primal Rage (il Mortal Kombat con dei bestioni giganti), Way of the Warrior, l’abortito Tattoo Assassins e molti altri.

In tutto questo, Midway va avanti, e nel ’95, a tre anni dal suo debutto, Mortal Kombat si prepara a salutare il suo terzo gioco… e il debutto sul grande schermo. Il franchise si sta diffondendo ovunque, generando fumetti, serie animate, action figure e card, ma più di ogni altra cosa questo ambizioso progetto di un film live action diretto da un giovane di belle speranze, un certo Paul W. S. Anderson. Si è partiti dal cinema e al cinema ora si torna, con una colonna sonora che farà oscillare a tempo la testa degli appassionati di videogiochi per i decenni a seguire. Sembra la coronazione di un sogno per Tobias, Boon e compagni, ma è solo l’inizio…