«La tragedia della Marmolada non era prevedibile ed evitabile»

Mentre i soccorritori sono al lavoro alla ricerca dei dispersi (il cui numero purtroppo è cresciuto ancora arrivando a quota 20) è il giorno delle domande sulla tragedia avvenuta ieri sul ghiacciaio della Marmolada. Il distacco di un saracco infatti ha creato una frana precipitata a valle a 300km/h investendo due cordate di alpinisti che si trovavano come da abitudine in una delle zone più belle delle Dolomiti.

La Procura di Trento ha aperto un’inchiesta per stabilire la dinamica e le eventuali cause e responsabilità. Non è un caso, dicono molti esperti, che ieri nell’ora della tragedia a quota 3000 metri ci fossero 10°, una temperatura a dir poco anomala che sicuramente ha influito sull’instabilità della struttura di ghiaccio. E quindi sorge spontanea la domanda se fosse stato il caso in una giornata annunciata come bollente dal punto di vista del caldo di dare il via libera ad escursioni nella zona del ghiacciaio.

«Due guide alpine iscritte al nostro collegio, Paolo Dani di Valdagno (VI), e Davide Miotti di Cittadella (PD), assieme ad alcuni dei loro clienti risultano fra i dispersi. Le speranze di poterli trovare in vita sono molto basse»- commenta a Panorama Mario Spazzini presidente collegio Guide Alpine del Veneto.

Cosa è successo esattamente?

«Dai giornali è stato chiamato seracco il muro del ghiaccio che si è staccato e si trovava alla fine del percorso nella parte terminale per andare verso il rifugio. Dalle immagini che ho visto questa calotta di ghiaccio cadendo è scesa a valle e si è frantumata travolgendo tutti. In Marmolada non erano mai accaduti episodi del genere, si è visto negli anni un notevole assottigliamento dello strato di ghiaccio ma crolli di questo tipo è la prima volta».

Con le basse temperature una guida alpina poteva prevedere quello che è accaduto?

«No, non era possibile. Di certo si era visto che per essere giugno le condizioni attuali della Marmolada fossero quelle che di solito si presentano a fine luglio e i primi d’agosto. Infatti come guide alpine prediligiamo sempre questo periodo perché le condizioni sono più sicure».

Quando si alzano le temperature che tipo di precauzioni vengono prese?

«Negli anni passati abbiamo esempi di chiusure delle salite ad alcune cime come quella del monte Bianco. Quel percorso durante la pandemia è stato chiuso perché a causa dell’incremento delle temperature era aumentata la pericolosità dei crolli sul versante francese dove c’è il Canale della Morte. Un motivo per cui la Gendarmerie ha deciso di vietarne il passaggio».

Qualcuno secondo lei avrebbe dovuto avvertirvi di questo rischio?

«Partiamo dal presupposto che è sempre pericoloso andare in montagna e nessuno può garantirle che non succeda nulla, questo a prescindere dal riscaldamento globale che ha sicuramente accelerato questi processi di scioglimento, ma ricordiamoci che le montagne sono soggette a erosione e che sono fatti impossibili da prevedere».

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