«L’acqua mi ha tolto tutto, anzi no»

Da Ghibello, Deborah Dirani

Oggi ho buttato via la mia vita, o almeno un pezzo, e nemmeno di quelli piccoli. Ho buttato via un’agenda azzurra che tenevo all’università e in cui, con un penna rosa, avevo scritto i miei primi racconti, pensando che tanto avrei fatto la professoressa di latino. Ho buttato via una rubrichetta nera Moleskine tutta rovinata che aveva 20 anni e conteneva i numero di telefono di un vecchio capo della Mobile di Bologna, parecchi Carabinieri e un paio di generali, vecchie testimonianze di un passato di cronista di nera che non voglio lasciare andare. La stessa agendina nera che conteneva il numero del mio amico Giovanni, quell’amico che mi insegnò la bellezza di Asimov e Philip Dick, mi regalò un cattura sogni indiano che mi ha seguito in mille traslochi ma che, anche lui, è stato spazzati via dall’acqua.

E così oggi, del mio amico Giovanni, morto col cuore spaccato pochi anni fa, non mi rimane che il ricordo, niente altro che quello, perché il resto se lo è preso l’acqua. Ho buttato via anche la mia tesi di laurea: 400 pagine di sangue sudore e molte lacrime, quelle versate 48 ore prima della consegna quando, per errore, la cancellai tutta (e no, non sapevo nemmeno esistessero i backup, e sì è finita bene, ne avevo una copia stampata e l’ho riscritta tutta in quelle 48 ore).

Non ho buttato il bouquet del mio matrimonio: a rimettermelo in mano, miracolosamente sopravvissuto a 180 cm di acqua, è stato mio marito, riemergendo dalla tavernetta, fradicio come un Aquaman passato alla centrifuga, ma più bello del più bello dei principi azzurri delle favole. E vedendolo così, zuppo e con le rose in mano, ho pensato che lo risposerei ogni giorno, in questa vita e in milioni di altre vite. Perché un uomo che in uno dei tuoi giorni più brutti ti sorride riconsegnandoti il tuo bouquet che credevi perduto è quello che auguro a ogni donna del mondo (piccola precisazione: un altro uomo, non per forza mio marito).

E non ho buttato la scatola dei biscotti Lazzaroni gialla e un po’ arrugginita che contiene lo “zoo degli animali”, il gioco che facevo con mio padre quando ero piccolina e che mia madre ha ritrovato dopo la sua morte. Quella scatola ha resistito all’acqua scura che ha distrutto la mia casa e tanta parte della mia vita. Ma è evidente che nemmeno la furia dell’acqua, nemmeno la sua subdola capacità di infilarsi in ogni pertugio, di infiltrarsi dal pavimento può avere la forza necessaria per distruggere il ricordo tangibile più prezioso della mia vita: una bambina stesa su una moquette giallo ocra che aspetta con ansia che il suo babbo apra la scatola di biscotti e le racconti del leone, del puma e della tigre: “la regina degli animali, Deby”. «No, babbo, non me lo dimentico, nemmeno adesso che mi verrebbe da mollare tutto, me lo dimentico. La tigre. E io come lei».

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