L’ambiente entra nella Costituzione dando al popolo «nimby» una scusa potentissima

La tutela dell’ambiente entra nella Costituzione, ma non è detto che sia una buona notizia per tutti: potrebbe infatti essere sfruttata dai movimenti Nimby (not in my backyard, non vicino a casa mia) per bloccare ogni progetto di sviluppo industriale e perfino investimenti nell’energia rinnovabile.

Questi i fatti: il 10 febbraio 2022 la Camera ha definitivamente approvato con 468 voti a favore, un contrario e sei astenuti la proposta di legge costituzionale che modifica due articoli della Carta, il 9 ed il 41. E poiché Il Senato l’aveva approvata con la maggioranza dei due terzi lo scorso 3 novembre, la novità entra subito in vigore e senza bisogno di passare per un referendum.

L’articolo 9 cambia così (in maiuscolo la parte nuova): “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. TUTELA L’AMBIENTE, LA BIODIVERSITÀ E GLI ECOSISTEMI, ANCHE NELL’INTERESSE DELLE FUTURE GENERAZIONI. LA LEGGE DELLO STATO DISCIPLINA I MODI E LE FORME DI TUTELA DEGLI ANIMALI”. Ecco invece le modifiche all’articolo 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, ALLA SALUTE, ALL’AMBIENTE. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali E AMBIENTALI”.

“È un ottimo segnale ma non può essere il momento apicale della tutela dell’ambiente” commenta Alessandro Beulcke, ceo di Beulcke & Partners, azienda che promuove “Il Verde e il blu festival” evento annuale sull’ambiente e la sostenibilità che si tiene a Milano ogni settembre. “Può diventare un vessillo senza contenuti. È ovvio che nessuna attività economica può svolgersi in contrasto con la salute o l’ambiente. Ci sono già norme specifiche ed estremamente stringenti. Il problema è che questo articolo può essere brandito dai movimenti Nimby per bloccare la realizzazione di infrastrutture e impianti energetici, che magari sono verdi: gli ultimi casi più interessanti riguardano il biogas, una modalità di smaltimento di rifiuti organici per produrre gas che viene contestata molto spesso”. Bisognerebbe in sostanza affiancare il principio della tutela dell’ambiente alla difesa dello sviluppo economico.

Meno pessimista il giudizio di Giuseppe Fornari, titolare dell’omonimo studio legale di Milano che ha maturato una specializzazione nei reati ambientali: “Secondo me è una notizia neutra, la legislazione ordinaria già impone un comportamento compatibile con il tema dell’ambiente. Inserendolo in Costituzione si è voluto dare una valore più alto a questo tema. Non penso che questo cambi molto l’atteggiamento di chi è contro lo sviluppo industriale. Le aziende d’altra parte sono già molto sensibili, le multinazionali stanno modificando la governance per essere più green”.

Che il tema sia comunque delicato lo dimostra il caso della Francia dove Emmanuel Macron ha tentato di inserire la tutela dell’ambiente nella Costituzione, ma senza successo. Nel luglio 2021 il Senato francese ha respinto infatti la proposta del presidente di introdurre questa frase nella Carta: lo Stato “garantisce la protezione ambientale e la diversità biologica, e combatte il cambiamento climatico”. La proposta è stata impallinata in particolare dall’opposizione dei Repubblicani, che hanno puntato i piedi su una singola parola e costretto il governo a fare marcia indietro. La destra francese non ha accettato è l’espressione “garantisce”, considerata troppo a favore degli ambientalisti e pericolosa per l’industria e lo sviluppo economico.

Sta di fatto però che la maggiore attenzione all’ambiente da parte dell’opinione pubblica sta spingendo il mondo delle imprese in un angolo. Per esempio si parla sempre di più di “ecocidio”, cioè trasformare i danni all’ambiente in un reato internazionale giudicato dalla Corte dell’Aia, quella che si occupa di genocidio. La parola ecocidio fu coniata nel 1970 dal botanico americano Arthur W. Galston, che studiò gli effetti dei defolianti, chiamati in codice «Agent Orange», lanciati dagli aerei americani durante la guerra in Vietnam. Due anni dopo il primo ministro svedese Olof Palme fece riferimento alla guerra del Vietnam come ecocidio nel suo discorso di apertura alla Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma sull’ambiente umano. Ma è dopo una ventina d’anni che il termine uscì dall’ambito bellico per inserirsi stabilmente in quello ecologico. L’opinione pubblica è sempre più preoccupata per i danni che l’umanità sta arrecando al Pianeta e la pressione affinché i colpevoli dei disastri ambientali vengano puniti è in forte crescita. Nel 1990 il Vietnam fu il primo Stato a codificare l’ecocidio nel suo diritto interno, seguito nel 1996 dalla Federazione Russa e poi da una serie di Paesi dell’ex blocco sovietico. Dal 2015 in Italia esiste il reato di «disastro ambientale», commesso da chi causa ad esempio «l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema». Attualmente nel mondo sono una decina i Paesi che hanno inserito un reato simile all’ecocidio nel proprio ordinamento: da ultimo la Francia che ha messo a punto una proposta punire in modo più severo gli illeciti che possono diventare duraturi minacciando così l’intero ecosistema. Il prossimo passo è aggiungere l’ecocidio ai reati di cui si occupa la Corte dell’Aia: per ora a chiederlo sono stati nel 2019 Vanuatu e le Maldive. Nel 2020 si è aggiunto il Belgio.

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