Lanchester: «Parlare di presidenzialismo è generico»

All’indomani dell’ultima uscita di Silvio Berlusconi sulla riforma costituzionale per l’elezione diretta del presidente della Repubblica, il professor Fulco Lanchester, emerito di Diritto costituzionale italiano e comparato all’Università di Roma “La Sapienza” richiama alla chiarezza: «una cosa è il modello presidenziale statunitense, caratterizzato da elezione sostanzialmente diretta del Capo dello Stato, ma da rigida separazione tra legislativo ed esecutivo, mentre altro è quello adottato da molti ordinamenti europei (dalla Francia al Portogallo, dall’Irlanda alla Polonia), in cui il Presidente è eletto direttamente dal Corpo elettorale, ma persiste il rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo».

Lo scorso 11 agosto il Centro destra unito (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi moderati) ha pubblicato l’accordo programmatico per un governo di centro destra, definito Per l’Italia all’interno del quale, al punto numero 3 si rinvengono le «riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica amministrazione secondo Costituzione», e, con esse, anche il profilo dell’«elezione diretta del presidente della Repubblica».
In realtà non sono specificate le modalità attuative di questa rivoluzionaria (per il nostro Paese…) elezione, ma non è difficile immaginare come sarebbe preliminare una modifica della Carta costituzionale in senso presidenziale, con la necessaria modifica ordinamentale dal sistema parlamentare a quello più marcatamente presidenziale o, almeno, semipresidenziale.

Panorama.it ha chiesto lumi al professor Fulco Lanchester sulla nuova uscita del centrodestra in tema di riforma dell’ingegneria costituzionale.

Professore, intervistato da Radio Capital il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi ha affermato che nel caso di una riforma costituzionale per l’elezione diretta del presidente della Repubblica “sarebbero necessarie le dimissioni” del presidente Mattarella.

«Silvio Berlusconi è un politico della società di massa, basata sui mezzi di comunicazione radiotelevisivi (i social media gli sono meno familiari) e ritorna in queste settimane ai temi della sua discesa in campo circa trenta anni fa. L’intervento di Berlusconi sul presidenzialismo si inserisce, infatti, nel clima acceso di una campagna elettorale estiva, ma ha indubbiamente radici lontane. Richiama, ad esempio, le affermazioni che egli fece alla Camera dei deputati il 2 agosto 1995, nel corso della discussione sulla proposta di revisione costituzionale Franco Bassanini-Leopoldo Elia e altri».

In quell’occasione cosa dichiarò Berlusconi?

«Si trattò di una forte dichiarazione di principio, che è bene riportare nella sua completezza: “Un mutamento della nostra forma di governo con il sistema presidenziale noi lo vediamo come la sola via praticabile, non solo per favorire la nascita e il consolidarsi di aggregazioni politiche solide, orientate a competere per la guida del Governo, ma anche per inverare quelle libertà che la consociazione ha negato rendendo precarie le basi finanziarie sulle quali un moderno sistema di libertà si regge”».

Trent’anni addietro fu posto un problema di adeguamento complessivo…

«Certo, il problema dell’adeguamento della forma di governo alla riforma del sistema elettorale, da proporzionale a tendenzialmente maggioritario, vedeva contrapposte due ipotesi principali: da un lato il semipresidenzialismo francese; dall’altro l’ipotesi dell’elezione del sindaco d’Italia. All’epoca ci si illudeva dell’integrazione dei soggetti politicamente rilevanti all’interno del sistema e si discuteva di costruire un bipolarismo efficiente, sulla base del crollo dei partiti che avevano costituito la base materiale della prima fase della Repubblica post-bellica».

Quella speranza naufragò, se non ricordiamo male.

«Anche perché il sistema era passato da un bipartitismo imperfetto ad un bipolarismo imperfetto, in cui i contendenti non volevano rischiare di lasciare tutta la posta all’avversario. Di qui la riforma elettorale tendenzialmente maggioritaria per l’elezione delle Camere (decisa da coloro che stavano per scomparire), con la conseguente instabilità governativa».

Oggi come stanno le cose?

«Dopo la crisi del bipolarismo imperfetto nel 2011 e la fase del bipopulismo di governo della XVIII legislatura, la discussione rischia di precipitare di nuovo nell’alternativa tra o noi o loro, tipica di una democrazia malata, ma senza il supporto di formazioni che strutturino stabilmente il consenso oramai minato dall’astensionismo elettorale e dalla volatilità».

Intanto Berlusconi pare aver chiesto anche le dimissioni del Presidente Mattarella…

«Berlusconi ha precisato che Mattarella, il cui mandato scade nel 2027 come quello del prossimo Parlamento, potrebbe farlo per presentarsi candidato all’elezione diretta. Prospettiva, invero, difficile e contraddittoria, perché politicizza il garante interno».

Professore, intanto occorre chiarire un punto preliminare: a quale presidenzialismo fa riferimento Berlusconi?

«Faccio in proposito due osservazioni preliminari. Parlare di presidenzialismo è generico e scorretto, perché una cosa è il modello presidenziale statunitense, caratterizzato da elezione sostanzialmente diretta del Capo dello Stato, ma da rigida separazione tra legislativo ed esecutivo, altro è quello adottato da molti ordinamenti europei (dalla Francia al Portogallo, dall’Irlanda alla Polonia), in cui il Presidente è eletto direttamente dal Corpo elettorale, ma esiste un rapporto interorganico tra gli stessi (la fiducia parlamentare), con un esecutivo bicefalo (Presidente della Repubblica e Governo)».

Si fa presto a parlare di presidenzialismo allora…

«La forma di governo parlamentare, in questo caso possiede una variante caratterizzata dall’elezione diretta del Presidente, ma con la permanenza della fiducia tra governo e parlamento, il mantenimento dell’istituto dello scioglimento del legislativo e quello della controfirma degli atti presidenziali.

E la seconda osservazione?

«L’espressione presidenzialismo richiama la degenerazione della forma di governo presidenziale che caratterizza alcuni esempi sud-americani».

Il chiarimento era opportuno…

«Preliminare, direi. Infatti il c.d. semipresidenzialismo è un assetto istituzionale che si connette con differenti equilibri interni, con meccanismi elettorali e rapporti centro-periferia diversificati, che non assicura automaticamente stabilità ed efficienza. La proposta oggi in campo è quella di FdI (PdL costituzionale n.716, che è stata discussa alla Camera proprio nei primi mesi di quest’anno e che è alla base del programma elettorale di quel partito e del centro destra). Certamente dal punto di vista tecnico, al di là di quello politico, essa è ancora contraddittoria. Basti pensare che unisce elezione diretta del Capo dello Stato, che presiede il Consiglio dei ministri, e voto di sfiducia costruttiva alla tedesca».

In realtà la proposta di elezione diretta del Capo dello Stato ha una storia lunga.

«Quando nel settembre del 1946 i membri della Commissione dei 75 affrontarono il tema della forma di governo da adottare nell’ordinamento repubblicano, in seguito alla relazione di Costantino Mortati e ad un’ampia discussione, conversero sull’ordine del giorno di Tomaso Perassi che propendeva per una forma di governo parlamentare, con correzioni volte a evitare le degenerazioni del parlamentarismo. All’Assemblea costituente, se si esclude Piero Calamandrei che ipotizzava l’elezione diretta del Presidente della Repubblica come uno strumento per favorire un programma comune, il Presidente della Repubblica venne considerato come organo di garanzia interna».

Ci fu l’esperienza francese…

«Dopo il 1958 francese, la forma di governo a variante semipresidenziale o quella presidenziale tout court, vennero considerate antisistema (mi riferisco alle proposte Pacciardi e Almirante)rispetto all’integrazione proporzionalistica basata sui partiti ».

Con la crisi degli anni Settanta nel dibattito che precedette quello della Commissione Bozzi, ci fu la proposta di Giuliano Amato

«Amato propose l’elezione diretta del Capo dello Stato senza modifica delle sue competenze, per favorire con l’effetto d’aggancio delle elezioni presidenziali il terzo polo alle legislative. In quegli anni Claudio Martelli sostenne, invece, il modello presidenziale statunitense, mentre Ciriaco De Mita si orientava per il governo di legislatura di Gianfranco Miglio, le cui radici erano da rilevarsi nel dibattito francese della fine degli anni Cinquanta».

Il 1993 rimane anno simbolico…

«La crisi di regime del 1993, provocata dai referendum sul sistema elettorale condusse alla legge elettorale Mattarellum, mentre si discuteva con la Commissione De Mita – Iotti della modifica della forma di governo e del procedimento di revisione costituzionale di cui all’art. 138 Cost. In seguito, nel 1997, la Commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema trovò apparentemente una convergenza sul semipresidenzialismo, ma tutto si bloccò».

Intanto Matteo Renzi propone l’elezione diretta del Presidente del Consiglio.

«Si tratta di un’ipotesi alternativa a quella dell’elezione diretta del Capo dello Stato che richiama le ipotesi di Mendès France e di Maurice Duverger, pubblicizzata da Segni e dalla Fuci negli anni Novanta:il sindaco d’Italia contrapposto al semipresidenzialismo. Entrambi i progetti sono oramai di tipo personalizzato a causa della polverizzazione dei partiti e per l’incidenza dei nuovi strumenti di comunicazione di massa (i social media). Le vecchie fratture otto-novecentesche, da cui originavano i partiti della prima fase della storia repubblicana, sono oramai indebolite e superate da nuove (globalisti-sovranisti), mentre la situazione sia internazionale sia economica appare sempre meno prevedibile».

Professore, tentiamo delle previsioni!

«In questo momento tutto è assai labile. Rivolgersi alla riforma istituzionale ed in particolare a quella della forma di governo, pare un’illusione elettorale, con il pericolo di destabilizzare l’assetto costituzionale vigente e di accedere all’involuzione che caratterizza ordinamenti tradizionalmente deboli».

Ha pesato anche la nostra vicenda storica …

«L’esperienza del passato sconsigliò ai Costituenti soluzioni selettive sulla base della paura del tiranno e l’assetto della forma di governo fu caratterizzato da pochi poteri al centro e molta autonomia. In questa legislatura FdI ha riproposto il tema dell’elezione diretta del Capo dello Stato e della trasformazione della sua figura di garanzia in un ruolo decidente».

Quali soluzioni?

«Non sono molto convinto da riforme così incisive. Mi accontenterei della modifica del bicameralismo paritario (Enzo Cheli e Andrea Manzella hanno proposto interventi interessanti in materia) e dell’adeguamento della complessiva legislazione elettorale (e non solo del meccanismo di trasformazione dei voti in seggi) a standard efficienti di democraticità. Simili modifiche sarebbero già sufficienti a ridurre l’instabilità e la delegittimazione delle istituzioni. Ma bisogna fare in fretta, perché l’autunno, e soprattutto il prossimo inverno, saranno difficili quale che sia il risultato elettorale».

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Fulco Lanchester, friulano di Udine, allievo di Mario Galizia nell’ateneo pavese, è professore emerito di Diritto costituzionale italiano e comparato all’Università di Roma “La Sapienza” ove si occupa di temi classici della comparazione costituzionale, quale rappresentanza politica e sistemi elettorali, forme di Stato e di governo, di storia costituzionale e del fenomeno della comparazione giuridica tra pensiero giuridico italiano e tedesco. È stato direttore del Dipartimento di teoria dello Stato tra il 1993 ed il 1999, preside della facoltà di scienze politiche tra il 1999 ed il 2008, pro-rettore dell’Ateneo nel biennio 2009-2010, e direttore del Dipartimento di scienze politiche dal 2012 al 2015: coordinatore di “Nomos-Le attualità del diritto, edita dall’istituto Poligrafico dello Stato di cui è attualmente il direttore responsabile, dirige anche la collana Archivio di storia costituzionale e di teoria della costituzione edita da Giuffrè e i Quaderni di Nomos della Wolters Kluwer-Cedam, oltre a comporre i comitati scientifici di riviste storiche quali Quaderni costituzionali, Rassegna parlamentare, Revista de derecho constitucional europeo.

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