domenica, 24 Novembre 2024
L’approfondimento formato YouTube
Nome d’arte Shy, ma non è per niente timido. Al contrario, Alessandro Masala sa stare davanti a una telecamera e a un microfono: ha un canale su YouTube, «Breaking Italy», con quasi 700 mila iscritti, dove quasi tutti i giorni feriali in differita, il venerdì in diretta, tratta temi di attualità, dai rapporti tra l’Unione Europea e Stati Uniti a quelli tumultuosi tra Israele e Palestina, dalle unioni civili alla tassa di successione. Non lo fa in pillole, ma con quello che si potrebbe chiamare un «long format»: di media 20 minuti, però capita che scavalli l’ora. Segno che il pubblico ha una soglia d’attenzione superiore a una storia Instagram. Trentasette anni, cagliaritano, Alessandro rappresenta il lato serio e attento della rete, quello che alla sintesi della fugacità, preferisce l’approccio analitico dell’approfondimento. Panorama.it lo ha intervistato.
Alessandro, ci spieghi perché «Breaking Italy»? Come hai avuto quest’idea, come l’hai sviluppata, cosa pensi abbia determinato il suo successo, sia in termini di iscritti al canale, che di visualizzazioni dei singoli contenuti?
L’idea era creare un monologo giornaliero che fosse un po’ un distillato di un lavoro di ricerca e approfondimento dei fatti più importanti del giorno. Diciamo che trovo importante coniugare l’aspetto di approfondimento delle cose in genere, che è importantissimo soprattutto quando si fa informazione, con quello del rendere semplici e discorsivi argomenti complessi e naturalmente noiosi. Il tempo che le persone decidono di dedicare a Breaking Italy va rispettato, quindi proviamo a massimizzare il quantitativo di informazioni che è possibile assorbire in venti minuti, lasciando poi che ognuno tragga le proprie conclusioni, senza precludere le nostre.
L’impressione è che oscilli tra argomenti di estrema attualità, vedi i vaccini, ad altri più consolidati nel dibattito nazionale e internazionale. Come scegli di cosa parlare? C’è qualcosa che funziona di più e altro che invece proprio non decolla?
Ci sono senz’altro argomenti che funzionano di più e argomenti che funzionano di meno, ma noi non seguiamo quel tipo di approccio. Dividerei invece le notizie in più e meno importanti. Ad esempio, è molto importante sapere cosa stia succedendo in Myanmar in relazione al golpe militare, o in Russia in riferimento alle proteste di piazza. Sono però argomenti non così interessanti, e quindi spesso li mischiamo a notizie più accattivanti, così da rendere il discorso più digeribile ma nondimeno informativo. Senza giudizi, ovviamente, siamo tutti fatti così: anche io, potendo, mi occuperei soltanto delle cose che piacciono a me.
Puoi raccontarci chi è il tuo pubblico, soprattutto a livello anagrafico? Cosa cerca su Breaking Italy, che magari non trova altrove?
Il mio pubblico è molto vario, dai quarantenni e oltre, ai neanche maggiorenni: normalmente l’adolescenza è il momento in cui ci si inizia a guardare attorno oltre i propri interessi diretti, ed è spesso quello il momento in cui nuovi ascoltatori raggiungono Breaking Italy, talvolta facendolo conoscere ai propri genitori. Credo che le cose che caratterizzano lo show siano varie: l’attenzione ai dettagli e all’accuratezza di notizie e fonti è sicuramente la prima e più importante, ma anche la mia personalità come veicolo per le informazioni. In generale ritengo di non avere niente da insegnare a nessuno (anzi, di avere io tanto da imparare). Nessuno vuole sentirsi dire cosa è giusto e sbagliato, e io non cerco di imporre i miei punti di vista: solo di presentarli e spiegare come ci sono arrivato.
Perché preferire un medium unidirezionale e in differita come YouTube e non altri, penso a Twitch, in cui è possibile innescare un dibattito immediato sulla base dei commenti ricevuti?
Breaking Italy è principalmente ricerca, e anche se il mio volto è quello dello show, a lavorarci non sono soltanto io. La quasi totalità del lavoro prima della realizzazione di ogni puntata è approfondimento, controllo, dibattito interno. Spesso discutiamo su che termini utilizzare, riformuliamo i concetti in modo che siano più corretti possibile. Con un medium diretto come Twitch questo non è possibile.
Un elemento che colpisce senz’altro è la durata dei video. Sembra contraddire lo stereotipo secondo il quale l’informazione debba essere in pillole, veloce, concentrata.
Il mondo dell’informazione è vario e anche se noi abbiamo “Breaking” nel nome del progetto, non siamo mai i primi ad arrivare su una notizia, non ci interessa. Preferiamo prendere un respiro e provare a fare discorsi più ampi, che includano anche degli archi narrativi, diano contesto. Quel contesto è apprezzato, perché dopo una puntata di Breaking Italy cerchiamo di fare in modo che l’ascoltatore abbia dei “trampolini di lancio” verso possibili discussioni: con amici, in famiglia, con chiunque. Non è qualcosa che si possa ottenere con un micro contenuto di due minuti.
Pensi di fare concorrenza a sistemi di divulgazione più tradizionali come i telegiornali o i siti di notizie?
No, penso che il mio lavoro sia complementare. Forse è un po’ come chiedere a un artigiano se è in grado di fare concorrenza ai giganti della moda. Alle volte percepisco ostilità dal mondo dell’informazione e della divulgazione tradizionale ma credo non sia necessaria, io e i miei collaboratori siamo soltanto persone che amano il proprio lavoro, e lo fanno a modo loro.
Che effetto ha avuto la pandemia sulle fake news? Il pubblico cerca fonti più autorevoli e consolidate presso le quali informarsi oppure la trappola di inciampare su qualcosa di infondato, o soltanto urlato e poi smentito dal suo sviluppo narrativo, è sempre presente?
Sicuramente è presente, ma esco dal coro affermando che potrebbe esserci stato anche un effetto benefico. La pandemia è stata come un incendio che scoppia all’interno di un salotto ovattato, in cui tutti potevano permettersi di spararla sempre più grossa. Anche quello più bravo ad attirare l’attenzione su di sé non può fare granché se c’è un incendio da spegnere, le priorità devono per forza cambiare e si tende a dare più ascolto alle figure considerate autorevoli e rassicuranti, rispetto alla cosiddetta “controinformazione”. Su quanto questo effetto benefico possa durare, terminata questa fase, sono invece meno ottimista.
Breaking Italy ha ormai dieci anni di storia. Com’è cambiato? Come potrebbe evolvere in futuro? Ci sono territori che ti piacerebbe esplorare?
I cambiamenti sono coincisi con la mia maturazione personale: quando ho iniziato avevo ancora gli strascichi dell’adolescenza alle spalle, mentre dopo dieci anni ho pienamente compreso le responsabilità del mio ruolo e me ne faccio volentieri carico. Mi riferisco ai modi di affrontare le notizie, al tipo di comunicazione e anche di linguaggio. Ci sono vari territori che vorremmo esplorare, ma anche su questo aspetto sono più un elefante che una gazzella: preferisco arrivare piano, ma bene, che essere il primo a piantare la bandiera su qualcosa.