martedì, 26 Novembre 2024
L’arroganza della Cina e l’impotenza dell’occidente nel caso di Shuei Peng
Si infittisce il mistero di Peng Shuai: la tennista cinese che, lo scorso 2 novembre, aveva accusato con un post su Weibo l’ex vicepremier cinese, Zhang Gaoli, di aggressione sessuale. Nonostante sia stato prontamente bloccato dalla censura della Repubblica popolare, il post è diventato virale e ha portato il governo ad adottare ulteriori (e drastiche) misure di bavaglio sul web. Nel frattempo, la tennista è sparita e le preoccupazioni sulla sua sorte stanno significativamente aumentando.
A scendere in campo è stata innanzitutto la Women’s Tennis Association che, attraverso il suo Ceo Steve Simon, ha minacciato di “ritirare le attività in Cina”. “Le accuse di stupro sono più importanti degli affari”, ha dichiarato. “Siamo a un bivio nel nostro rapporto con la Cina e la nostra attività laggiù […] Le donne devono essere rispettate e non censurate”, ha proseguito. Ad intervenire in sostegno della tennista scomparsa sono state anche varie star dello sport, oltre ad Amnesty International, che ha dichiarato: “Il caso di Peng Shuai mette in luce il trattamento affrontato dalle donne sopravvissute agli abusi sessuali in Cina, le cui accuse vengono regolarmente ignorate e che sono spesso prese di mira per aver parlato”. Il Global Times, organo del Partito comunista cinese, ha dal canto suo sostenuto di non ritenere che la tennista possa aver subito delle ritorsioni dalle autorità. Appositamente interrogato, il ministero degli Esteri cinese si è invece rifiutato di commentare la vicenda, sostenendo che “non è una questione diplomatica”.
La situazione resta però oscura e preoccupante. Tanto più dopo che l’emittente televisiva statale cinese CGTN ha pubblicato un’email, attribuita alla stessa Peng Shuai, in cui la sportiva asserirebbe di stare bene, smentendo le sue stesse accuse. Tuttavia forti dubbi sono stati avanzati sull’autenticità del documento. “La dichiarazione rilasciata oggi dai media statali cinesi relativa a Peng Shuai aumenta solo le mie preoccupazioni sulla sua sicurezza e sul luogo in cui si trova”, ha affermato Simon in una nota. “Ho difficoltà a credere che Peng Shuai abbia effettivamente scritto l’email che abbiamo ricevuto o che creda a ciò che le viene attribuito”. “Peng Shuai”, ha aggiunto, “deve poter parlare liberamente, senza coercizione o intimidazione da alcuna fonte. La sua accusa di violenza sessuale deve essere rispettata, indagata con piena trasparenza e senza censura”. La stessa Cnn ha riferito di non essere stata in grado di verificare l’autenticità dell’email: una email sospetta anche per lo stile “burocratico” in cui è stata scritta.
Vedremo se emergeranno notizie sulla sorte della tennista nelle prossime ore o nei prossimi giorni. L’unica cosa certa al momento resta tuttavia l’inquietante reticenza del governo cinese: un governo che ha già abbondantemente dimostrato in passato di non tollerare critiche e dissensi. Un governo che, soprattutto negli ultimi due anni, si è macchiato di rilevanti attività (a dir poco) controverse: dall’opaca gestione della pandemia, allo smantellamento della democrazia a Hong Kong, passando per la repressione degli uiguri nello Xinjiang e per la tensione militare su Taiwan. E’ del resto in questo senso che molti stanno invocando un boicottaggio delle olimpiadi che si terranno a Pechino il prossimo febbraio. Non è infatti fuori luogo chiedersi se, davanti a tali opacità e aggressività, sia realmente il caso di rafforzare il soft power della Repubblica popolare con un evento sportivo tanto importante. Tutto questo dovrebbe indurre l’Occidente a prendere sempre più coscienza del problema. Perché chi invoca semplicisticamente il dialogo troppo spesso ignora (o finge di ignorare) quale sia la vera natura del Partito comunista cinese.