giovedì, 14 Novembre 2024
Le conseguenze della crisi ucraina sull’Afghanistan
Nel passare in rassegna i vari effetti che la crisi ucraina sta determinando, bisognerebbe forse guardare alla situazione in Afghanistan. Secondo quanto recentemente riferito dalla rivista Foreign Policy, i talebani –approfittando probabilmente della minore attenzione mediatica a loro riservata– starebbero man mano rafforzando il proprio potere: un processo che si sarebbe accentuato a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, iniziata lo scorso 24 febbraio. La testata parla in particolare di una maggiore stretta sui media e di crescenti difficoltà per le donne, oltre a esecuzioni sommarie e al rapimento di cittadini stranieri. La situazione economica e umanitaria sarebbe inoltre notevolmente peggiorata a causa della minore importazione di grano russo e ucraino.
In tutto questo, al di là della grave situazione interna, è necessario concentrarsi anche sul piano internazionale. La Cina sta infatti approfittando della crisi ucraina per rafforzare la sua influenza su Kabul. Giovedì scorso, il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ha effettuato una visita a sorpresa in Afghanistan, incontrando la leadership talebana, “per discutere varie questioni, tra cui l’estensione delle relazioni politiche, la cooperazione economica e di transito”. A questo proposito, è anche interessante citare quanto riportato dall’Associated Press, secondo cui “la visita di Wang è avvenuta quando anche l’inviato speciale del presidente russo Vladimir Putin in Afghanistan, Zamir Kabulov, era a Kabul”. “Kabulov”, ha proseguito l’agenzia di stampa americana, “ha anche incontrato il ministro degli Esteri nominato dai talebani, Amir Khan Muttaqi, ha detto il portavoce dei talebani Qahar Balkhi”. Del resto, che Pechino e Mosca collaborassero sul dossier afghano non è certo una novità. Il punto da sottolineare è che proprio questo dossier contribuisce a mantenere saldo l’asse sino-russo nel pieno della crisi ucraina. Proprio quando, cioè, l’amministrazione Biden sta cercando (invero senza troppo successo) di sganciare Pechino da Mosca.
Non va d’altronde trascurato che, martedì scorso, il premier pakistano, Imran Khan, aveva chiesto ai Paesi musulmani e alla stessa Cina di mediare nel conflitto ucraino. “Dovremmo pensare a come possiamo mediare, come possiamo portare a un cessate il fuoco”, aveva detto Khan in un discorso alla sessione inaugurale del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione della cooperazione islamica (a cui Wang Yi aveva guarda caso preso parte come ospite speciale). “Potrebbe essere l’Oic insieme alla Cina, possiamo tutti intervenire e cercare di fermare questo conflitto, che avrà, se continua così, grandi conseguenze per il resto del mondo”, aveva proseguito Khan.
Ora, questa presa di posizione è significativa sotto svariati punti di vista. Innanzitutto va ricordato che i rapporti tra il Pakistan e i talebani afghani sono storicamente articolati, oltre che piuttosto ambigui. In secondo luogo, è bene anche sottolineare che Islamabad negli ultimi anni si è notevolmente avvicinata a Pechino. In terzo luogo, Khan aveva avuto un incontro a Mosca con Putin lo stesso giorno in cui iniziava l’invasione russa dell’Ucraina, per parlare di “cooperazione bilaterale”. Le parole del premier pakistano possono quindi essere lette all’interno di un contesto ben preciso: quello dell’accrescimento dell’influenza sino-russa sull’Afghanistan. Un problema, questo, che Joe Biden dovrebbe porsi urgentemente.