domenica, 24 Novembre 2024
Le giuste mosse su politica industriale e green deal di Giorgia Meloni in Europa
Per l’immigrazione servirà tempo, non sarà facile costruire una soluzione europea in poco tempo poiché molti paesi del nord ritengono, con spirito nazionalista, che l’accoglienza, il salvataggio e la permanenza dei migranti irregolari debba ricadere tutta sui paesi mediterranei. Una soluzione comune, con maggiori risorse investite da Bruxelles rispetto alla vecchia agenzia Frontex è possibile ma non si può costruire in un solo consiglio europeo. Questa lentezza decisionale sull’immigrazione non significa però che il governo italiano non abbia fatto passi in avanti sul resto, in particolare nella finanza e nella politica industriale.
Per ora non si tornerà al vecchio patto di stabilità e la discussione sul suo futuro è ancora aperta, complice anche la congiuntura internazionale, mentre per la ratifica del MES si è capito che per ora la Commissione Europea non forzerà la mano. Nulla di definitivo, ma in questo tempo di guerra e rialzo dei tassi nessuno in Europa vuole piegare il braccio alla politica italiana sulla finanza pubblica, in particolare dopo una legge di bilancio equilibrata come quella varata a dicembre.
Giorgia Meloni ha inoltre assunto una posizione intelligente sulla transizione ecologica: prima il Governo ha votato contro l’abolizione della commercializzazione dei motori termici nel 2035 e poi ha introdotto nell’ultimo consiglio europeo il concetto di neutralità tecnologica nella transizione verde. Questa idea è particolarmente rilevante e l’esecutivo dovrà continuare a coltivarla: biocarburante e combustibili chimici sono una possibile alternativa all’elettrico, visto invece dai tecnocrati della Commissione Europea come panacea di ogni male e unica soluzione da imporre con programmi dirigisti e con forme di pianificazione fatte di incentivi, divieti e tasse. Ha fatto bene Meloni a ricordare un principio pratico: tutto ciò che riduce le emissioni va bene e non deve esserci una unica soluzione. Nel caso dell’elettrico, spacciato dalla Commissione come tecnologia verde per eccellenza, poi non va dimenticato ne l’impatto ambientale che serve per produrre energia elettrica e batterie ne i rischi a cui il continente si espone sul piano della dipendenza di materie prime da potenze straniere. Anche la recente iniziativa del Parlamento Europeo sulle materie prime è poca cosa se si guardano i siti delle riserve, la disponibilità di materiali e i livelli di investimento nel settore. Dunque, perché legarsi mani e piedi alla mobilità elettrica?
Il governo deve insistere anche perché l’Italia, con ENI, ha un grande vantaggio competitivo nei biocarburanti e dunque è strategico per il paese promuovere fonti alternative di carburanti. La transizione ecologica à la Von der Leyen è troppo rischiosa per le filiere industriali europee, rischia di lasciare sul campo di battaglia milioni di posti di lavoro in pochi anni. Se ne è accorta la Germania che ha votato contro la sospensione della produzione dei motori termici entro il 2035, se ne è resa conto la Francia con il suo rilancio dell’energia nucleare, ha preso coscienza l’Italia con i biocarburanti e la sua industria dell’automotive. Così la transizione ecologica, tema che può essere stato anche monopolizzato dalla sinistra a livello culturale e mediatico, rallenta perché è costretta a venire a patti con la realtà.
Il prossimo passo sarà la trattativa sulle norme che riguardano le “case green” che rischiano di essere un disastro per cittadini, costretti a costose ristrutturazioni, e conti pubblici, sfondati dagli incentivi dei governi, nella versione attualmente presentata dalla Commissione europea. La linea varata dalla Meloni offre forse anche uno spunto ulteriore, cioè un’idea di sviluppo sostenibile ed ecologico visto da destra. Pluralità delle forme tecnologiche, investimenti pubblici in tecnologia e ricerca, nessun divieto o tassa per pianificare, con prassi socialista, la transizione ecologica. Nessun suicidio industriale, nessuna dipendenza esiziale dalla Cina, trasformazione del lavoro senza ondate di disoccupazione concentrate in pochi anni. Una formula politica da sviluppare perché un altro approccio verde è possibile in Europa.