martedì, 26 Novembre 2024
Le parole di Draghi su Attanasio sono significative, ma la verità è ancora lontana
«Voglio ricordare il vostro collega, l’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso brutalmente nella Repubblica Democratica del Congo con il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milàmbo. Sono morti per aver fatto il loro lavoro, in un contesto difficile, come quello in cui operano molti di voi. Ai loro cari va la mia più sentita vicinanza e auspico che venga fatta finalmente luce sul loro assassinio, e che si accertino prontamente tutte le responsabilità».
Così si è espresso il premier Mario Draghi alla conferenza degli Ambasciatori alla Farnesina sulla vicenda che dallo scorso 22 febbraio è ancora avvolta nel mistero. Per Zakia Seddiki, moglie di Luca Attanasio che ha ricevuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella la Gran Croce d’Onore dell’Ordine della Stella d’Italia «in ricordo e in onore di un italiano al servizio dell’Umanità» le parole del premier italiano sono importanti.
«Prendo atto con soddisfazione delle parole di Mario Draghi e sappiamo che l’Italia che non ci ha mai lasciati soli continuerà a chiedere la verità». Le affermazioni di Draghi sono importanti per tre ragioni: innanzitutto per lo spessore dell’attuale Presidente del Consiglio; poi perché queste potrebbero far finalmente breccia tra coloro che ad oggi non hanno mai dato risposte certe su quanto accadde quella maledetta mattina, ovvero la Repubblica Democratica del Congo, dove secondo nostre informazioni le indagini sono ferme «perché mancano i fondi» e i responsabili del Programma alimentare mondiale (Pam) che si sono chiusi fin da subito in un mutismo inspiegabile quanto inopportuno; infine le affermazioni del premier arrivano alla vigilia dell’interrogatorio del vicedirettore del Programma alimentare mondiale ( PAM) in Congo Rocco Leone, unico sopravvissuto all’attacco, che sarà sentito nelle prossime ore dal pm Sergio Colaiocco e dal Sostituto Procuratore della Repubblica Alberto Pioletti come titolari dell’inchiesta. Tra coloro che insieme a noi si battono affinchè venga fatta piena luce sulla morte dell’ambasciatore Luca Attanasio del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milàmbo c’è il giornalista Matteo Giusti autore del libro L’omicidio Attanasio: morte di un ambasciatore con il quale abbiamo fatto il punto della situazione:
Qual è lo stato delle indagini in Congo? È vero che sono ferme perché mancano i soldi?
«Il filone delle indagini nella Repubblica Democratica del Congo è sempre stato quello che sembrava non portare da nessuna parte. Gli inquirenti militari che stanno seguendo il caso hanno fin da subito scaricato le colpe sul gruppo delle FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda) una milizia di etnia Hutu che ha sempre respinto le accuse. Accusare questo gruppo è facile perché hanno perso tutti gli appoggi politici e sono ridotti a poche e disorganizzate unità. La ricerca dei veri colpevoli non è mai sembrata interessare troppo alla magistratura militare congolese e nonostante le improvvise dichiarazioni di arresti da parte del Presidente Tshisekedi, rivelatesi poi non corrette, pare difficile che gli investigatori di Goma possano trovare la verità. Intanto il capo della polizia di Goma ha dichiarato che tutte le indagini sono ferme perché mancano le risorse per continuare ad indagare, ma sembra che la volontà manchi più dei soldi».
È ipotizzabile una missione dei ROS nella Repubblica Democratica del Congo?
«Un ritorno del nucleo speciale dei carabinieri in Congo al momento non sembra possibile. Il governo di Kinshasa non sta lavorando come dovrebbe per garantire la sicurezza degli investigatori italiani e il Kivu è un’autentica polveriera. Senza una fattiva collaborazione del governo centrale per organizzare la nuova missione e senza che l’esercito e la polizia locale si mettano a disposizione dei carabinieri una nuova missione sarebbe pericolosa e infruttuosa».
Qual è la situazione sul terreno? Le cronache parlano di continue violenze anche nella zona dove sono morti i nostri connazionali
«Nonostante che da maggio il presidente Tshisekedi abbia dichiaro lo stato d’assedio (etat de siege) per le province di Ituri, Kivu del Nord e Kivu del Sud, la situazione non è migliorata. Secondo il Kivu Security Tracker gli omicidi, li stupri e la violenza negli ultimi sei mesi non è calata e la sostituzione delle autorità civili con quelle militari ha addirittura peggiorato la situazione. Poche milizie hanno aderito al programma di reintegro nell’esercito nazionale congolese voluto dal presidente e alcune zone sono vere autentiche sacche di territorio fuori dal controllo governativo. In Ituri la milizia islamista ugandese delle ADF ( Alleanza delle Forze Democratiche) ha scatenato ripetuti attacchi intorno a Beni, spingendo il governo di Kinshasa a chiedere l’intervento dell’esercito ugandese per dare la caccia ai miliziani. Un’operazione politicamente sbagliata perchè permette ad un esercito straniero di tornare in Congo dopo i disastri della guerra mondiale africana che ha visto proprio gli ugandesi protagonisti in Congo. La popolazione si è subito rivoltata al ritorno di quelli che vedono come invasori, mentre la missione delle Nazioni Unite Monusco ha dato il suo benestare dimostrando ancora una volta la sua assoluta inutilità nella Repubblica Democratica del Congo. Intanto negli ultimi giorni a Goma è riapparsa la polizia ruandese ad occupare la città fra le violente proteste dei cittadini che hanno anche lasciato quattro morti sul campo».
E dov’è finito Mansour Rwagaza, funzionario congolese del Pam iscritto nel registro degli indagati per «omesse cautele»? Si dice non sia più in Congo
«Difficile sapere che fine abbia fatto Mansour Rwagaza, il responsabile della sicurezza del Pam, che avrebbe dovuto garantire la sicurezza del convoglio. Pare che si stato spostato in Madagascar sempre sotto l’egida del World Food Programme, così come gli altri membri superstiti del convoglio. La cosa importante è capire se sia vero e soprattutto perché sia stata necessaria questa serie di spostamenti».
Infine, un invito alla politica. Bene per le medaglie, grazie per le dichiarazioni e per le promesse di impegno, siamo anche grati per le intitolazioni di aule alla memoria di Luca Attanasio, tuttavia, ciò che più serve oggi è l’azione politica nei confronti dell’ONU e della Repubblica Democratica del Congo. Senza questo il resto rischia di essere una sorta di “esercizio alibi” che le famiglie delle vittime, così come il popolo italiano, non possono accettare.