L’Europa non trova nessuno di meglio che Di Maio per trattare con il Golfo Persico

Alla fine Luigi Di Maio ha abolito la povertà: la sua. Con la nomina ad inviato speciale Ue nel Golfo (Persico, non il golfo di Napoli), l’ex ministro degli Esteri porterà a casa un assegno mensile di 12 mila euro netti, con tassazione agevolata, oltre alla copertura di tutte le spese, staff compreso.

Così il ragazzo di Pomigliano casca di nuovo in piedi. Dopo aver smesso il gilet giallo, derubricato ad errore di gioventù, e indossato frettolosamente la divisa istituzionale, adesso calza i panni del grande mediatore internazionale. In buona sostanza, si può dire che il Pd ha fatto da “navigator” a Di Maio. Dopo aver stretto un patto elettorale di ferro con Giggino, lo ha proiettato alla Farnesina, dove il nostro ha saputo coltivare ottimi rapporti con l’Alto rappresentante degli esteri europei, lo spagnolo Borrell, da cui riceve in regalo la prestigiosa poltrona. E senza nemmeno passare da un esamino di cultura generale.

Così, nonostante la batosta elettorale e l’evaporazione di un partito mai nato, Impegno Civico, Luigi ha saputo riciclarsi a tempo di record, garantendosi un curriculum di tutto rispetto. Pare anche grazie a una poderosa spintarella di Mario Draghi, che evidentemente ha voluto ricompensare Di Maio per i buoni uffici svolti a sostegno del suo governo, quando c’è stato da strappare con i descamisados di Giuseppe Conte e garantire in parlamento una maggioranza sui delicati dossier ucraini.

Certamente non è il trionfo del merito, visto che nella nuova veste Di Maio dovrà occuparsi di gas e petrolio. Non esattamente il suo settore di competenza (ma poi, quale sarebbe il suo settore di competenza?). Al di là del fatto che non c’è da stare tranquilli sapendo che uno come lui si troverà a maneggiare questioni cruciali, la vincenda restituisce un quadro desolante anche dei palazzi europei. Dove evidentemente certe nomine sensibili vengono fatte, per così dire, all’italiana. E dove la competenza conta relativamente, rispetto al valore delle buone conoscenze, delle reti politiche e dell’arte di arrangiarsi. Tutto il mondo è paese, dunque, persino a Bruxelles.Leggi su panorama.it