L’occasione perduta dell’Inter

Ora che anche Lukaku è partito, direzione Chelsea, e che l’estate dei tifosi dell’Inter si è trasformata in un calvario di notizie di calciomercato (in uscita), si può dire con chiarezza che aveva ragione chi quest’inverno avvertiva della gravità della situazione. Non molti, anzi. Poche voci accusate di fare terrorismo mediatico e di cercare di destabilizzare la squadra di Conte lanciata verso lo scudetto, poi stravinto con pieno merito. Addirittura additate di farlo per conto terzi, non si capisce per far piacere a chi visto che il resto del calcio italiano – coinvolto nella crisi pandemica anche se meno compromesso rispetto ai nerazzurri – avrebbe potuto ottenere lo scopo semplicemente mettendosi di traverso davanti a una delle deroghe che hanno consentito ai futuri campioni d’Italia (e forse a qualcun altro) di arrivare in porto senza scossoni. Malgrado gli stipendi pagati in ritardo, le trattative per la riduzione del monte ingaggi andate a vuoto, gli spifferi provenienti da mezza Europa e, a scudetto ancora caldo, i primi sinistri scricchiolii.

Adesso che il quadro è chiaro e il timore della valanga concreto, tornano alla mente diversi passaggi dell’inverno cinese dell’Inter. La lunga distanza, non solo fisica, della proprietà. Le voci sui problemi finanziari crescenti, smentite con forza. La trattativa con il fondo BCPartners saltata quando sembrava a un passo dall’essere conclusa e che avrebbe regalato all’Inter un orizzonte certamente di contenimento dei costi, ma allo stesso tempo con un progetto sportivo da salvaguardare. Non sarebbe stato indolore, forse. Certamente avrebbe evitato l’estate senza bussola che sta segnando la fine del ciclo interista, nato e cresciuto nello spazio di due stagioni prima di arrendersi al diktat di Nanchino: cedere, tagliare, rientrare. Se possibile, evitare qualsiasi richiesta di sostegno all’azionista di maggioranza che nel frattempo naviga in pessime acque in Cina e non ha voglia e modo di mettere anche un solo euro nella sua creatura calcistica europea, dopo aver chiuso in meno di due settimane quella cinese. Sparita.

Poteva essere risparmiato all’Inter lo smantellamento sistematico, anche contro il parere dei dirigenti rimasti in prima linea? Forse sì. Ma la famiglia Zhang ha scelto di tenersi il club rifiutando l’offerta, è rimasta a galla – deroga dopo deroga – fino ad arrivare al selfie scudetto e al prestito di un altro fondo (Oaktree) che si è trasformato, però, in un’autentica spada di Damocle. I bene informati sostengono che sia solo questione di tempo e poi il passaggio sarà completato. Comunque vada, non è dato sapere quale sarà il valore economico e sportivo del club in quel momento, visto che le partenze di Conte, Hakimi e Lukaku hanno tolto tre dei gioielli dalla corona e il terrore dei tifosi è che, in presenza di offerte convincenti, la lista possa anche allungarsi. Senza poter reinvestire se non una piccola parte del tesoro e con la consapevolezza che Inzaghi (succeduto a Conte) dovrà sudare per garantirsi il posto Champions League che serve per non aggravare la situazione, causare un nuovo buco nei ricavi e costringere ad altre settimane lacrime e sangue.

Ora che il quadro è chiaro, la crisi dell’Inter si è guadagnata prime pagine ed approfondimenti ovunque. Anche su quei media che in inverno accusavano gli altri di destabilizzare per conto terzi. E si sprecano le analisi e la distribuzione delle colpe, con la proprietà in testa nel suo volersi tenere la società a dispetto dell’impossibilità di poter garantire un accettabile livello di conduzione. Tutti giù dal carro degli Zhang, in alcuni casi con acrobazie spericolate e quasi certamente fuori tempo massimo. Perché il danno è stato fatto e mentre la concorrenza affronta lo tsunami del Covid mettendo mano al portafoglio (tradotto: aumento di capitale) per provare a non cancellare tutto, a Milano c’è il club campione in cui la parola d’ordine è fare come se la proprietà non esistesse. Salvo che per rispettare il diktat che tutti sono importanti ma nessuno incedibile, nemmeno alla vigilia del via della stagione. Nemmeno se si tratta dell’uomo simbolo e del collante di tutta la squadra.

Il campo dirà se, pur nell’emergenza, i criticati Marotta e Ausilio – che per qualcuno dovrebbero dimettersi – sapranno tenere la barra dritta ed evitare insieme a Inzaghi gli scogli. Di sicuro, tornando indietro nel tempo, chi oggi chiede alla famiglia Zhang di lasciare cambierebbe l’approccio di questo inverno. Quando le sliding doors si sono aperte per davvero e poi richiuse, nel silenzio di chi avrebbe dovuto avvertire i segnali della tempesta in arrivo.

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