domenica, 24 Novembre 2024
Loki, nessuno e centomila: la recensione dei primi due episodi
Con le sue migliaia di trame sulle spalle, e altrettanti personaggi da far convivere, l’universo dei fumetti Marvel ha sempre concesso molto spazio alle contaminazioni. In un numero di Amazing Spider-Man del 2004, ad esempio, Loki stringe un’insolita alleanza con il Tessiragnatele per affrontare la potente strega Morwen, rea di aver preso possesso del corpo di sua figlia. All’inizio della storia c’è un breve dialogo in cui Spidey sottolinea la natura malvagia del suo scomodo partner, ma il Dio dell’Inganno ribadisce di non essere affatto cattivo, bensì “complicato”. Come gli altri dei asgardiani, il fratellastro di Thor è una pedina del fato, e può soltanto assecondare ciò che il destino ha già previsto per lui.
Ebbene, l’headwriter Michael Waldron e la regista Kate Herron rielaborano questa concezione in Loki, serie dei Marvel Studios che vede l’eponimo supervillain nell’inedito ruolo principale. Un passaggio nient’affatto scontato: se promossi al rango di protagonisti, non sempre gli antagonisti o i comprimari di lusso conservano il proprio valore. In questo caso, però, la transizione funziona benissimo, almeno stando ai primi due episodi. La chiave risiede proprio nell’angolazione da cui Waldron osserva il Dio dell’Inganno: un personaggio gravato da conflitti irrisolti, e da ambiguità caratteriali che reclamano trasparenza. In altre parole, Waldron e Herron sfruttano la serie per riflettere sulla multiforme identità di Loki.
Un nuovo punto di vista
Ma si parlava di fato, ed è qui che entra in gioco la Time Variance Authority. Avevamo lasciato il Loki del passato in fuga con il Tesseract in Avengers: Endgame, situazione che non passa inosservata agli occhi dell’agenzia: compito della TVA è infatti supervisionare il corretto andamento della “sacra linea temporale”, e Loki è un’anomalia, avendo deviato dal corso degli eventi. Il fratellastro di Thor viene quindi catturato dall’inossidabile Hunter-15 (Wunmi Mosaku) e condotto nella sede della TVA, un posto dove il tempo scorre in modo diverso.
È qui che la serie introduce uno dei suoi punti di forza. La TVA è un incubo burocratico che rievoca le atmosfere di Brazil, riuscendo a trasmettere davvero l’idea di un luogo atemporale: la tecnologia è fantascientifica, ma il design degli ambienti e degli oggetti è retrofuturistico, una via di mezzo tra il dieselpunk e l’idea di futuro che si poteva avere negli anni Sessanta. Le situazioni paradossali si accumulano, e il nostro straniamento è lo stesso di Loki. Il Dio dell’Inganno è sempre un passo avanti agli altri, ma stavolta deve fare i conti con la propria ignoranza: la TVA è infatti una realtà fuori dalla sua portata, superiore persino alle leggi dell’universo e alle vicende della cosiddetta Infinity Saga (una scena in particolare – che non svelo – demistifica completamente tutto ciò per cui gli eroi Marvel hanno combattuto finora).
Si conferma così la tendenza della Fase 4 di gettare uno sguardo inedito sul Marvel Cinematic Universe: la focalizzazione si concentra sui meccanismi che governano questo universo, su tutto ciò che troviamo al suo esterno (multiverso compreso). Loki è costretto a riconoscere l’esistenza di una dimensione più elevata, misteriosa anche per una divinità come lui. Scopre allora di essere “solo” una pedina della timeline, e che il suo futuro – quello che conosciamo bene – è già scritto. Ridimensionato nelle sue ambizioni e nella sua tracotanza, non gli resta che meditare su sé stesso.
La psicanalisi di Loki
Il primo episodio non entra ancora nel vivo della trama, ma introduce il contesto e prepara gli sviluppi futuri. Di fatto, è un character study sul Dio degli Inganni: l’identità di un personaggio del MCU non è mai stata esaminata (e messa in discussione) in modo tanto spietato come qui, ed è bello vedere Tom Hiddleston offrire il suo grande talento al servizio di questo processo. Non dimentichiamo che si tratta del Loki del primo Avengers, ben diverso da quello degli ultimi film: ha ancora la risata sprezzante, le ambizioni megalomani e un malcelato complesso di superiorità. La burocrazia della TVA lo riduce a più miti consigli, riflettendosi anche nell’interpretazione di Hiddleston, che ben presto scioglie la durezza del personaggio in reazioni incredule e stralunate (salvo abbandonarsi al dolore e allo smarrimento quando scopre qualcosa sul suo futuro e su quello di Asgard: la gamma espressiva dell’attore inglese è sempre molto ampia).
A sfidare le sue certezze c’è l’agente Mobius M. Mobius, cui presta il volto un delizioso Owen Wilson. Mobius ha studiato Loki, e lo costringe a mettersi a nudo: il Dio dell’Inganno deve quindi riconoscere le proprie fragilità e insicurezze, insieme a quell’illusione di potenza che proietta attorno a sé per nascondere i suoi limiti. Loki diviene così l’epitome di ogni antagonista ricorrente, che attraverso i suoi insuccessi – la sua fallimentare ricerca di grandezza – finisce per rendere grandi gli altri; e mentre lui cade in ginocchio, sconfitto e umiliato, gli eroi diventano la versione migliore di loro stessi.
Raramente si è visto un lavoro così accurato sulla figura del “cattivo”, in queste trasposizioni cinetelevisive. D’altra parte, la serie ruota attorno alla parcellizzazione della sua identità, poiché Loki rappresenta qualcosa di diverso per tutti coloro che lo circondano: una potenziale risorsa per Mobius, una minaccia per Hunter-15, un fastidio per la giudice Ravonna Renslayer (Gugu Mbatha-Raw), un fratello da redimere per Thor. E così via. Le sue identità si moltiplicano come i font del logo ufficiale, o come le sue incarnazioni nel multiverso.
Contaminazioni di generi
Se le identità del supercattivo – qui antieroe – si frammentano, qualcosa di simile accade anche alla serie stessa, divisa tra anime diverse ma non contrastanti. In parte character study, in parte fantascienza retrofuturistica, in parte thriller, commedia e buddy cop (grazie al rapporto con Mobius), Loki contamina i generi con grande naturalezza, imbastendo un mystery che si dipana per gradi. Il lato dell’investigazione è molto marcato nel secondo episodio, ma le scene del crimine sono dislocate tra passato, presente e futuro: una vera e propria esplosione di generi, con schegge che si spargono dappertutto.
Nonostante la serie non sia basata su un fumetto in particolare, alcuni aspetti potrebbero rievocare Agent of Asgard e Vote Loki, ma si tratta solo di vaghi riferimenti. Anche perché il nucleo del racconto è il Loki del MCU, personaggio meno imperioso e solenne della sua controparte cartacea, ma comunque dotato di complessità. Oltre a indagare sull’enigma che minaccia la timeline, l’antieroe deve compiere una ricerca su sé stesso, alla scoperta di quelle sovrastrutture che governano le sue numerose identità. Proprio come l’investigatore di un romanzo noir, ma con orizzonti infiniti a sua disposizione.
Sarà interessante seguire il suo percorso, che per il momento resta nebuloso. Anche l’intreccio non è ancora chiaro, ma i primi due episodi sono molto efficaci nel cementificare le basi e vivisezionare il protagonista. Toccherà a lui, ora, il compito di rimettersi insieme.