Loki, oltre il tempo e lo spazio: la recensione del finale

Loki

Ogni capitolo del Marvel Cinematic Universe porta sulle spalle un gran numero di aspettative, poiché le teorie dei fan creano diramazioni vaste e complesse come le anomalie della timeline. A tal proposito, i casi di WandaVision e The Falcon and the Winter Soldier bruciano ancora: tutte le ipotesi su oscuri burattinai che operavano nell’ombra, su grandi sorprese da scartare solo negli ultimi episodi, sono state disattese dai fatti. Niente Mefisto, insomma, e niente Power Broker (inteso come quello de fumetti, non la già nota Sharon Carter). Ma cosa succede quando le teorie dei fan si rivelano esatte? È proprio il caso di Per tutti i tempi. Sempre, finale della prima stagione di Loki.

Dietro il velo

Gli indizi erano troppo chiari, le piste troppo limpide. Certo, alcuni ne dubitavano: il rischio che in quel castello ci fosse solo Miss Minutes o l’ennesima variante di Loki era concreta, se pensiamo alle esperienze precedenti. Ma Miss Minutes è soltanto l’ambasciatrice che accoglie Sylvie e il Dio degli Inganni, portando loro un messaggio di Colui Che Rimane: sono sicuri di voler proseguire? Non preferirebbero farsi inserire in una timeline dove possono esaudire i loro sogni più sfrenati? Ovviamente no. Loki è una storia di ricerca, un’esplorazione interiore ed esteriore: bisogna scoprire cosa si nasconde dietro la porta successiva.

Così, Loki e Sylvie scelgono di squarciare il velo di Maya, dando inizio – senza volerlo – a una nuova era nel MCU.

Colui Che Rimane

La prima apparizione di Kang – nome che, per inciso, non viene mai pronunciato – è ben diversa da quella di Thanos. Non è altrettanto solenne, né ammantata da un’aura minacciosa. Kang è pur sempre un essere umano, non un titano invincibile di due metri e mezzo: il suo potere deriva soprattutto dalla conoscenza. Jonathan Majors gli conferisce una personalità giocosa, lievemente nevrotica, da persona rimasta sola troppo a lungo. Gran parte dell’episodio è effettivamente il suo one man show, al punto che quasi ci dimentichiamo di Loki e Sylvie. Anche loro sono ridotti alla condizione di spettatori davanti all’esordio di Kang.

Per comodità lo chiamiamo con quel nome, ma Kang sostiene di averne molti, poiché migliaia sono le sue incarnazioni nel multiverso. Una di esse è quella originale, e che probabilmente vedremo in Ant-Man and the Wasp: Quantumania. Questa versione, anche se nessuno lo dice apertamente, è invece Immortus, un Kang più anziano che monitora lo scorrere della timeline, ribaltando le premesse dei fumetti (qui è lui ad aver creato i Custodi del Tempo come fantocci per gestire la Time Variance Authority). Il suo atteggiamento scherzoso ci spiazza, e sorprende anche i nostri eroi. È chiaro che qualcosa di grosso bolle in pentola: l’abbiamo intuito fin dalla suggestiva sequenza iniziale con i frammenti sonori della Infinity Saga, provenienti dalla timeline che circonda la Cittadella Alla Fine Del Tempo. L’incipit si collega al più vasto MCU, e l’epilogo fa altrettanto.

Opera e autore

Non è un finale convenzionale, almeno rispetto agli standard dei Marvel Studios. Al posto di una grande battaglia, infatti, abbiamo un duello in singolar tenzone fra Loki e Sylvie, ed è giusto così. Il cuore della serie è sempre stato il conflitto di Loki con sé stesso, quindi il Dio dell’Inganno affronta una propria versione alternativa, simbolo della sua spaccatura interiore. Sylvie vuole uccidere Kang, mentre Loki prende in considerazione l’idea di sostituirlo, per salvare l’universo prima che le varianti del tiranno scatenino una guerra di conquista. La regista Kate Herron è molto brava a sottolineare i momenti d’incertezza con lunghe inquadrature che stringono sui personaggi, valorizzando soprattutto le performance di Majors e Tom Hiddleston.

È interessante anche il fatto che Kang si comporti da “creatore”. Il suo rapporto con la timeline e i suoi abitanti è simile a quello di un autore con la sua opera. Ne conserva i dialoghi come se fossero una sceneggiatura, sa tutto quello che succede, è sempre un passo davanti a loro. Ucciderlo, per Sylvie, non è solo una vendetta: significa anche recidere i fili che la controllano. Perché Kang esiste oltre il tempo e lo spazio, e questo lo rende consapevole di tutto (o quasi). È un punto di vista nuovo sul MCU, più esterno e cosciente, anche rispetto alla TVA.

Un passo nel futuro

A proposito della TVA, ciò che accade al suo interno è meno interessante. Mobius mette Ravonna con le spalle al muro, aiutato da B-15, ma Ravonna fugge per lidi sconosciuti. La tensione e gli sviluppi narrativi sono tutti concentrati nel castello di Kang, le cui giustificazioni possono suonare un po’ forzate, è vero, ma quantomeno spianano la strada per il futuro del MCU. Oltre alla seconda stagione di Loki (peraltro già annunciata), le conseguenze si riverbereranno sui futuri film dei Marvel Studios, e non bisognerà aspettare molto per vederle.

L’epilogo inquietante rafforza i legami con la fantascienza classica, e conferma che il percorso di Loki è ancora lungo. Il Dio dell’Inganno ha molto da scoprire su sé stesso, mentre l’universo che lo circonda diventa sempre più caotico.

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