lunedì, 25 Novembre 2024
Luce, ribellarsi e uscire dall’ombra dei poteri
Vent’anni consumati dalla
necessità di saltare le tappe in fretta, vivendo nella casa di
famiglia da sola (con la gatta), e lavorando in una fabbrica pelli, fra ritmi indistinti e alienanti. Poi un piano folle che
riesce, diventa la molla che porta la protagonista (una
straordinaria Marianna Fontana, che si è preparata al ruolo
lavorando realmente in fabbrica per mesi) a uscire dall’ombra:
un personale bisogno di ribellione contro più di un potere. E’
il percorso profondo tracciato da Luce di Silvia Luzi e Luca
Bellino, il primo dei due film italiani in concorso alla 77/a
edizione del locarno Film Festival.
I due autori, a sette anni dalla loro pluripremiata opera
prima Il Cratere (sulla voglia di rivalsa di un padre che vede
la possibile svolta nel talento canoro della figlia), che aveva
esordito a Venezia in gara nella Settimana della Critica tornano
al loro cinema di fiction intessuto di vita reale (è una
produzione di Bokeh Film e Stemal Entertainment con Rai
Cinema), utilizzando un cast in grandissima parte di non
professionisti, sviluppando la sceneggiatura con un lungo lavoro
di preparazione, fra le persone e nei luoghi dove la storia è
ambientata. Come per Il Cratere siamo in Campania, stavolta, in
una zona montagnosa e industriale, intesa come riflesso di un
sud esteso . Torna al centro anche la figura paterna: “In Il cratere quel
padre lo vedevamo e la protagonista sentiva la necessità di
provare a fuggire – spiega all’ANSA Luca Bellino -. Qui è
un’ossessione molto più intima, un bisogno che forse non
riguarda soltanto la figura paterna, ma tutti i rapporti di
potere, cioè il bisogno di essere riconosciuti in qualche modo,
in quel passaggio che si vive da ragazza a donna”. La
protagonista ( di cui non conosciamo il nome, gli altri le si
rivolgono utilizzando spesso vezzeggiativi, come Picciré) “rinasce” quando grazie all’aiuto di un fotografo di cerimonie,
entra in contatto (non sveliamo come) attraverso un cellulare
con una voce, forse quella del padre (Tommaso Ragno), oltre le
mura di un carcere. “E’ una relazione che vive molto nella testa
della ragazza, è una sua costruzione e viene dal suo tumulto
interiore – aggiunge Silvia Luzi – . Si affronta nella storia “il bisogno di rivolta di fronte a diversi poteri, tra quali
anche quello dell’immagine” .
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