Lugano, la Svizzera che sa d’Italia

Delle sfumature del suo lago, così placido e romantico, si era accorto anche Luigi Pirandello, che lo definì «or fosco e ora morbido, come azzurro vel di seta». Da questo ramo, come da quello stranoto di Como, è stato sedotto Alessandro Manzoni, mentre Lucio Dalla ha ambientato qui Angeli, un’ironica ballata malinconica. Non solo per la comunanza della lingua, la prossimità geografica e i tanti incroci celebri, a Lugano si respira aria d’Italia, ben fusa con l’ossigeno soffiato dalla natura straripante della Svizzera. «Nelle giornate terse da quassù si vedono anche i grattacieli di Milano» ripetono le guide sulla cima del Monte San Salvatore (Montesansalvatore.ch), raggiungibile dopo una ripida, rapida salita su una funicolare. Cercare le punte del capoluogo lombardo interessa però poco, perché lo sguardo è rapito da immensità d’acqua e di montagne, tra vasti spazi dove le case sono ancora una minoranza. I trenini partono dalla località Paradiso: niente male come premessa per un’ascensione verso un quasi eden. Lugano – La bella sconosciuta» (Fontanaedizioni.ch) è il titolo e il senso del libro dello scrittore e divulgatore Jonas Marti, che invita alla scoperta dell’area definendola «una terra cosmopolita, in grado di unire Mediterraneo e Nord Europa». Marti cita e ricorda i vecchi manifesti della ferrovia con lo sfondo del Vesuvio («l’Italia, nel nostro immaginario, è sempre stata qui»), indica la casa nel centro storico, in via Nassa, dov’è nato il costruttore del veneziano Ponte di Rialto, Antonio Contin, o i vividi affreschi della chiesa di Santa Maria degli Angioli, sublime esempio del Rinascimento italiano a Lugano.

Mentre al fotografo emiliano Luigi Ghirri, maestro nel raccontare il viaggio per immagini, è dedicata la mostra in corso fino al 26 gennaio al Masi (Masilugano.ch). Il museo fa parte del Lac (Luganolac.ch), punto di riferimento per l’arte e la cultura della regione: impossibile non notarlo per la sua forma a spigolo, protesa verso il lago. Una distanza annullata nelle sale, che paiono galleggiare sulla riva.

Italiana è anche la gestione del raffinato boutique hotel Luganodante (Luganodante.com), comodamente raggiungibile dalla stazione (un’altra funicolare ferma proprio davanti all’ingresso dell’albergo), rinnovato di recente per offrire stanze comode e funzionali, prive di quella polverosità rétro di alcuni alberghi svizzeri.Al general manager Carlo Fontana è riuscita l’impresa: portare nello stesso luogo turisti e locali. Subito dopo la reception, ecco infatti Flamel (Flamellugano.com), ristorante elogiato dalla guida Michelin e mixology bar, dove il 98 per cento degli ingredienti per i cocktail, ottimi, arriva dalla zona, come il Martinazzi, non un dispregiativo ma il cugino svizzero del Campari. L’esigua percentuale restante sono spezie custodite in un’area ad hoc, la «spicery room», che fa anche da esotico spazio per meeting e coworking.

A pranzo si può andare alla Locanda dal Bigatt (Bigatt.ch), nome dialettale del baco da seta: «Qualcosa di brutto, un verme, che diventa qualcosa di bello. Si trasforma in una farfalla» ricorda il direttore Lorenzo Steiger. Ha contribuito a mettere in piedi un’impresa sociale, un progetto che aiuta le persone escluse dal mondo del lavoro a reintegrarsi: rifugiati, anziani, giovani che potenzialmente potrebbero ricollocarsi. Servono in sala e nel giardino panoramico, riconoscerli è impossibile: «Dobbiamo essere a un metro dal mondo reale. I nostri ospiti si aspettano un servizio normale».La polenta con i grani più grossi rispetto a quella tradizionale, accostata allo spezzatino di camoscio, è squisita. Tanto quanto è goloso il risotto con la formaggella: «Tutto quello che si mangia» sottolinea Steiger «viene dal nostro orto o da artigiani della zona. Le arance non sono svizzere, non le serviamo. In compenso, abbiamo le mele». Una filosofia fieramente campanilista – ma è puro senso di autodeterminazione – che si ritrova nella bottega di Gandria: prepara zuppe fumanti di verdure del territorio, degustazioni di salumi (come la mortadella nostrana, un insaccato con fegato), o la scarpazza, torta salata con pane secco, formaggio, erbette, tanto carattere. Gandria è un piccolo borgo dal fascino commovente: solo pedonale, aggrappato al Monte Brè, si compone di un labirinto di stradine in cui perdersi è un inevitabile piacere. Ci si arriva da Lugano a bordo di un battello a propulsione elettrica (la bottega è proprio accanto al molo) o percorrendo un sentiero scenico di una ventina di minuti, ben tenuto e molto consigliato. L’unico rischio di questa tappa è prendersi la «gandrite», malattia dell’anima che non riesce più a separarsi da tanto pacifico incanto. Una trappola del destino che ha già colpito i neo-residenti di 20 diverse nazionalità e provenienze. Come Francesca Solari, che ha vissuto per 40 anni a Parigi prima di stabilirsi nel villaggio e diventare vicepresidente dell’associazione VivaGandria, «nata per proteggere» spiega «tutta questa ricchezza. Il frutto di uno spericolato equilibrio, una trattativa tra l’uomo e la natura per vivere a picco sul lago». Gandria non è quartiere di reduci, è un avamposto cheto, all’occorrenza in subbuglio per non guastarsi. Un’arcadia, che poi è il tema e il titolo della mostra collettiva in programma fino al 12 gennaio alla Fondazione Bally (Ballyfoundation.ch), all’interno della vicina Villa Heleneum. Costruita in stile liberty, con un giardino di colonne la cui ombra si stiracchia sulla riva, ha una sala principale di vetrate affacciate sull’azzurro. Vale la visita a prescindere dalle esibizioni in corso.

Nei corridoi di Arcadia, tra capitelli di plastica semi-sgonfia (la rovina delle rovine) e palme artificiali accese da luci ammaccate, a colpire sono altri dettagli: le cartoline che raccontano la metamorfosi di Lugano, da terra semplice di pescatori e lavandaie, a un immaginario da «Swiss riviera», contrapposta al clima rigido e alle latitanze del sole più a nord, superato il Gottardo.In questi luoghi abitava Herman Hesse: il premio Nobel per la letteratura ha trascorso la maggior parte della sua vita a Montagnola in Ticino, a un quarto d’ora dalla stazione di Lugano, dove gli è stato dedicato un museo (Hessemontagnola.ch). Qui l’autore ha scoperto la serenità ed è nato Siddharta, il suo capolavoro. «Il paesaggio ticinese» scriveva «mi ha sempre attratto e accolto». Dopo qualche giorno da turisti di passaggio, è facile ritrovarsi nelle sue parole.

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